Lodovico Poletto per “la Stampa”
Perché proprio lì? Che è il punto più difficile e forse pure il più rischioso della superstrada Firenze-Pisa-Livorno. Perché lì, se non per mandare un messaggio a chi sta rinchiuso oltre gli orti urbani, oltre l'inscalabile recinzione blu alta più di tre metri, oltre la palazzina degli agenti di custodia. Che sta chiuso cioè, nel carcere di Firenze, a Sollicciano, a scontare la sua pena: «Questo capita ai bastardi, agli infami e a chi mente».
CORPI NELLE VALIGIE A FIRENZE - SHPETIM PASHO E TEUTA
Ecco, se la ragioni così, la storia dei morti in valigia trovati a Firenze ha un senso. E ha anche dei nomi. Se la pensi così capisci per quale motivo qualcuno possa aver avuto la pensata di gettare in questa scarpata a cento metri dal carcere, valige con dentro i corpi di un uomo e di una donna fatti a pezzi. Tre le hanno trovate: ne manca ancora una con parti dei cadaveri non rinvenute. È terribile far la conta di certe cose, ma i carabinieri di Firenze hanno anche dovuto far l'inventario di ciò che c'è, e di ciò che manca.
ricerche a firenze sollicciano dopo il ritrovamento dei resti umani nelle valigie
E cioè gli arti inferiori di lui. E hanno dovuto descrivere quei resti: «Semivestiti, ma senza anelli o collanine. Corpi saponificati». Cioè ammassi di carne, tenuti insieme da un processo chimico che ne ha solidificato l'esterno. Ragionando così trovi anche i nomi e i collegamenti per questa storia di vendetta primitiva. E che parte da lontano. Da Valona, cinque anni fa. Quando a Castelfiorentino arrivano un uomo e una donna. Lui si chiama Shpetim Pasho, ha 59 anni. Lei è Teuta, ne ha 55. Sono venuti in Italia per farsi curare - dicono - e per trovare i figli. Dorina, sua sorella e il più piccolo di famiglia: Paulant, in galera, a Sollicciano, per droga.
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Restano un paio di mesi con le ragazze poi si trasferiscono a Firenze. Affittano una casa. A inizio novembre, spariscono. Dorina si fa in quattro per trovarli. «Ma ho sempre preso porte in faccia da tutti» dice adesso che questa storia sta prendendo forma. In che senso, signora? «Tutti mi dicevano che i miei erano scappati e tornati in Albania. Che se n'erano andati perché avevano litigato con i figli. Ma in quale famiglia genitori e figli non litigano?». Ecco, quando hanno trovato quei corpi Dorina ha intuito tutto, anche se in piazza della Signoria c'era chi fantasticava.
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Evocando di nuovo «il mostro» e i suoi complici. Perché, si sa, Firenze non ha mai superato lo choc di quegli anni. Il bello di questa città, la storia dell'arte raccontata sulle facciate di ogni casa, non hanno mai scacciato la paura. Dorina, invece, ha tirato dritto. Ha chiamato i carabinieri, e svelato i suoi sospetti. Cancellando l'ipotesi del mostro e lasciando spazio a una storia peggiore. Hanno ucciso Shpetim e Teuta per vendicarsi e mandare un messaggio. Ha le sue ragioni Dorina per pensarlo: su un braccio hanno trovato un tatuaggio.
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Un'ancora. E un nome: Valona. Come lo aveva suo padre. Ma è solo un sospetto. Ci vogliono verifiche con il dna e altri accertamenti per essere certi. Intanto Dorina un po' piange e un po' spera. «Sapesse quante cose non quadravano. Quando sono scomparsi, mia sorella ed io siamo andate in quella casa a Firenze a cercare indizi. Qualcuno aveva già pulito tutto, tutto, tutto».
E ancora: «I dubbi io li ho sempre avuti. Ma nessuno mi dava retta. Ho anche dismesso l'incarico all'avvocato, tanto non poteva fare nulla contro il pregiudizio». Se sospetta di qualcuno non lo dice. E se anche avesse ragione al cento per cento, a cinque anni di distanza non si troveranno mai e poi mai impronte, dna e prove. E allora resta il dolore e la delusione: «Mio fratello nel frattempo è entrato e uscito altre volte dal carcere. Adesso è anche evaso dai domiciliari. La droga gli ha fatto fare tutto questo».
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«Papà e mamma? Persone oneste, perbene, non avrebbero mai fatto del male a una mosca. Spero ancora che non siano loro». Fine del racconto. Oggi i cani molecolari dei carabinieri tonano a cercare. Saranno ripulite le scarpate. Si cerca la quarta valigia. Che giace lì da 5 anni. In un punto dove l'autostrada è intubata tra paratie antirumore. Ce ne sono per trecento o 400 metri: servono a proteggere il carcere. Più a valle non ci sono. Chi si è disfatto dei corpi voleva che finissero proprio lì, davanti al carcere. Che fosse un segnale. Che è arrivato, però, 5 anni dopo.
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