Nicola Pinna per "Il Messaggero"
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Le parolacce, quelle si sa che non mancano mai nei momenti di tensione. I nemici non le capiscono e poi quando infuria una battaglia non si preoccupa mai nessuno che dall'altra parte della spianata qualcuno si offenda.
Ma i sardi sono fatti così: tra loro parlano in sardo, si capiscono più facilmente e quando c'è concitazione fanno prima a comunicare con la lingua dei loro paesi. Succedeva durante la Prima guerra mondiale e si ripete ancora oggi, in tempi di guerra cibernetica.
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E allora basta scorrere il video che mostra per la prima volta i soldati italiani impegnati in una battaglia vera, nel cuore dell'Afghanistan, per sentire gli scambi tra i fucilieri della Brigata Sassari.
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I dimonios di oggi, d'altronde, sono gli eredi degli imbattibili dell'Isonzo e dell'Altopiano di Asiago: cento anni dopo i fanti isolani portano avanti quella tradizione. Non c'è inglese che tenga, anche quando si spara gomito a gomito con i soldati americani, sfidando le granate degli insurgents dell'Afghanistan. Se i marines parlano i sardi capiscono tutto, viceversa non succede.
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IL GERGO DELLA TRINCEA
Le varianti dialettali che nell'isola creano sfide di campanile, in guerra si appiattiscono velocemente. Campidanese e Logudorese si mescolano subito e poi bastano poche battute per spiegare al commilitone più vicino che nei paraggi c'è un pericolo.
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Le immagini registrate a Bala Murghab, una delle zone più calde dell'Afghanistan dove per anni sono ritrovati a operare i militari italiani, raccontano quanto fosse rischiosa la situazione.
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Da una parte, in un video di 4 minuti, si vedono quelli che i soldati chiamavano insurgents, le bande che la causa dei terroristi non l'hanno mai abbandonata. Dall'altra sono schierate le truppe italiane insieme a quelle americane e a qualche soldato nel neonato esercito governativo.
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Era il periodo di Natale del 2009 e in quelle settimane, le milizie delle montagne non si aspettavano un'azione della coalizione Nato. E per questo l'Operazione Buongiorno per la Brigata Sassari è stata una delle situazioni più complicate.
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LA BATTAGLIA
Che quelli in campo siano i soldati sardi si capisce subito: l'accento è inconfondibile. Quando l'eco delle fucilate si intensifica allora cambia il registro linguistico. Anche gli ordini arrivano in sardo: «Ajò, sparai os' atrusu». Dai, sparate voi.
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La situazione in un attimo si complica e i sassarini esternano a voce alta la preoccupazione: «Innoi est un casinu». Qui è un casino, si dicono tra loro. Arrivano gli aerei, volano bombe, i nemici resistono.
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E replicano al fuoco: «Torra?». Ancora? Sì quelli non si arrendono e così la battaglia va avanti. Però nulla si deve sapere e in Italia le notizie arrivano col contagocce. Spesso con le foto rassicuranti delle operazioni umanitarie.
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Qualcuno dei soldati registra con una telecamera piazzata sulla divisa e dopo oltre 10 anni le immagini di quella giornata (diffuse dal sito Difesa online) consegnano alla storia una verità in più sulla missione in Afghanistan. Non solo di pace.
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IL PRECEDENTE
La lingua sarda all'Italia è stata molto utile. In qualche modo ha fatto la storia. Sul fronte del Piave, tra il 1915 e il 1918, i nemici non si potevano neanche avvicinare alla trincea nostrana. E non c'era bisogno di particolare sorveglianza per scovare traditori o infiltrati.
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Qualcuno ci provava e di tanto in tanto indossava la divisa italiana rubata ai soldati morti per organizzare gli agguati alle nostre truppe. Ma subito veniva subito riconosciuto. E i ragazzini della scalcinata Brigata Sassari avevano escogitato un metodo che ai grandi generali non era certo venuto in mente: «Si ses italianu, faedda in sardu».
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Lì c'erano solo loro e allora la trappola funzionava: «Se sei italiano parla in sardo». Chi balbettava faceva subito brutta fine. E così la prima linea della battaglia è stata difesa strenuamente.
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Ad un prezzo altissimo, visto che la Sardegna ha perso durante la Grande guerra qualcosa come 100 mila ragazzi. Tutti giovanissimi, poco più che adolescenti, che lasciarono tutti i paesi di tutta l'isola per indossare una divisa e ritrovarsi con un fucile in pugno. Senza esperienza e senza addestramento. Ma con grande inventiva. E un'arma segreta: una lingua che nessun interprete era in grado di comprendere.
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