Alessandro Barbera per ''la Stampa''
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«Il governo ha sottratto un bene pubblico alle logiche del mercato», disse Luigi di Maio il giorno dopo l' accordo con i Benetton. Correva il 14 luglio, casualmente l' anniversario della presa della Bastiglia. Per organizzare la ribellione del mercato sono bastate due settimane. Perché la rete delle autostrade è dello Stato, ma le società che le hanno gestite finora (Atlantia e Aspi) no. Non solo: nessuna delle due è pienamente controllata dai Benetton. In entrambe ci sono azionisti provenienti da ogni angolo del mondo: inglesi, francesi, cinesi, tedeschi, olandesi, asiatici. Alla testa della protesta è il fondo Tci, un hedge di Londra che gestisce 35 miliardi di dollari.
Agli occhi del governo la protesta sembrava gestibile, ora la faccenda si fa più seria. Accade tutto in una domenica di fine luglio, i momenti preferiti per i blitz. Cdp, il soggetto che dovrebbe ridare allo Stato le autostrade, fa trapelare lo schema di accordo inviato ai Benetton per rinunciare al controllo di Aspi: un aumento di capitale dedicato grazie al quale acquistare il 33%. Cdp fa sapere che questo sarebbe il modo più trasparente possibile di onorare una decisione che con il mercato (vedi sopra) non ha molto a che fare. Il problema è che la proposta non ricalca quanto deciso a Palazzo Chigi, ovvero la scissione di una parte delle quote di Atlantia e la successiva quotazione di Aspi.
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Senza perdersi in complicati tecnicismi: la soluzione prospettata da Cdp è una fregatura per gli azionisti di minoranza, di Atlantia e di Aspi. Di qui la protesta di Tci, che dopo aver presentato un esposto alla Commissione europea ora minaccia azioni legali in Italia.
«Ci opponiamo fortemente a qualunque aumento di capitale o quotazione a prezzi ribassati». Secondo quanto appreso da fonti diverse, a opporsi allo schema di Cdp sono quasi tutti gli azionisti dell' una e dell' altra società, dai tedeschi di Allianz ad Hsbc fino al fondo Gic di Singapore. In sintesi: la proposta di Cdp ad Atlantia e alla famiglia Benetton è da riscrivere, e la famiglia di Ponzano non ha dovuto nemmeno metterci la faccia. Promettere agli italiani di «farli uscire da Autostrade» per punirli dal disastro di ponte Morandi è facile solo a parole. Farlo prima dell' inaugurazione del nuovo cavalcavia il 3 agosto è impossibile. Non è nemmeno chiaro se e quando avverrà.
Oggi i Benetton possiedono il 33% di Atlantia, la quale a sua volta controlla l' 88% di Aspi. Per dirla più chiaramente, la loro quota in Autostrade vale in effetti il 26%. L' impegno con il governo è di scendere all' 11%, per poi uscire del tutto. Nei piani della famiglia c' è però una soluzione al momento vantaggiosa: vendere le quote in Aspi, quindi rientrare attraverso la cassaforte di famiglia, Edizione. La proposta di Cdp, graditissima alla componente grillina del governo, è di far uscire i Benetton da subito. Una soluzione alla quale - a parole - la famiglia non si dice contraria. Ma a quale prezzo?
christopher hohn
Qui entra in gioco il piano industriale di Autostrade. Il progetto presentato da Aspi al governo promette di dedicare un miliardo e mezzo alla riduzione delle tariffe e di abbassare la remunerazione del capitale investito dall' 11 al 7%.
Ma immaginare che ciò sia di per sé sufficiente a far scendere il costo al casello è una pia illusione: tutto dipenderà dal traffico e dagli investimenti.
Questa settimana in audizione la ministra dei Trasporti Paola de Micheli è stata onestissima: ha detto che le tariffe «non aumenteranno nel 2020», salvo ammettere che potrebbero aumentare dall' anno prossimo con un tetto massimo dell' 1,75 per cento. La Commissione bicamerale che vigila sui conti di Cdp quasi se lo augura: «Occorre valutare i rischi che un' eventuale riduzione potrebbe avere sull' investimento e la redditività». Non potrebbero dire diversamente: Cdp gestisce fra le altre cose il risparmio postale degli italiani. La logica del mercato, per l' appunto.