Adelaide Pierucci per “Il Messaggero”
NAS CARABINIERI
Fabbricavano in Cina le divise dell'Arma. E poi con scaltrezza, dopo averle scaricate a Fiumicino, con un colpetto di forbici tagliavano l'etichetta Made in China, lasciando quella più piccola e sobria del Made in Italy. Un ”ritocchino” che, a quanto pare, non è passato inosservato a chi quelle divise le indossava.
L'IMBROGLIO
Gli inventori del Made in China per uno dei simboli dell'Italia nel mondo, appunto l'Arma dei carabinieri, rischiano ora di finire sotto processo con l'accusa di associazione a delinquere allo scopo di frode in contratti pubblici. In questo caso ai danni del ministero della Difesa. Sono dodici indagati, tra amministratori e gestori di aziende manifatturiere, geniali nell'aggiudicarsi i contratti per poi non rispettarli con sotterfugi vari.
CARABINIERI IN UNA CASA DI CINESI A PRATO jpeg
Un'inchiesta nata a Palermo e finita di recente all'attenzione della procura di Roma. E' a Fiumicino, infatti, secondo la ricostruzione del pm Corrado Fasanelli, e precisamente presso i locali della Esseci Logistica srl, che sono stati immagazzinati migliaia e migliaia di divise a cui poi sul posto con l'espediente della doppia etichettatura veniva fatto il ritocchino finale.
L'INTERCETTAZIONE
E' Roma, insomma, nonostante le aziende avessero per lo più base nel Sud, che si perfezionava il reato. In una intercettazione uno dei rappresentanti dell'azienda parla con una dipendente. «La conversazione», scrive il pm, «documenta nitidamente l'attività di rimozione delle etichette sovrapposte idonee alla importazione nel territorio della Ue dei capi confezionati nella Repubblica popolare cinese, e la conseguente emersione delle etichette di dimensioni inferiori occultate e riportante i dati della associazione di imprese e della pubblica amministrazione aggiudicatrice».
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LE COMMESSE TAROCCATE
Tra le forniture contestate 129.150 divise da combattimento, 60.000 berrettini, 5.170 uniformi e servizio di tipo desertico. Le stesse imprese avrebbero taroccato anche una partita di divise, in questo caso sia femminili che maschili, per il Corpo Forestale, sempre fabbricate a Pechino. Attirati dai costi bassi della manodopera gli imprenditori raggiravano l'ostacolo di confezionare gli indumenti militari in Patria smistando, in casi di emergenza, le commesse anche in Slovenia e in Bulgaria, con puntate in Romania, per poi rientrare coi carichi a Roma e a Palermo.
guardia di finanza
A gestire l'affare in particolare i fratelli Bucalo, Carmelo e Piero. Sono loro che si aggiudicano nel 2007 la prima commessa del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri «avente oggetto», si specifica ora nei capi di imputazione, «la fornitura di divise invernali e divise estive per il personale maschile». E sono sempre loro ad assicurarsi anche il mega contratto con l'Ispettorato Generale del Corpo Forestale. E poi con la Guardia di Finanza (34.600 camice invernali grigio perla).
guardia di finanza
Il risultato lo spiega il pm Fasanelli: «Il prodotto finale non rispondeva alle specifiche tecniche concordate in sede di aggiudicazione». «Uniformi mai fallate», hanno provato a giustificarsi gli indagati, che con un altro contratto avevano confezionato per il ministero della Difesa 61.000 uniformi da combattimento e 30.000 berrettini, 65.000 camicie color kaki, ed ancora gonne estive (2000), pantaloni (3000), soprabiti (1500), ed un'altra mole di vestiario. Tutto falso Made in Italy, vero Made in China.
Guardia forestale siciliana