Estratto dell’articolo di Luna De Bartolo per “la Repubblica”
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«Dimissioni, dimissioni». Migliaia di georgiani, radunati di fronte al Parlamento, hanno appena ricevuto la notizia dell’approvazione, in terza e ultima lettura, della legge sulle “influenze straniere” contro cui protestano da oltre un mese. La chiamano “legge russa” perché somiglia molto alla normativa che il Cremlino ha usato per mettere a tacere qualsiasi voce dissonante, e sono certi che il loro governo voglia riportarli sotto l’ala di Mosca, lontano da quell’Europa a cui guardano fin dalla caduta dell’Unione sovietica.
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Sono le 15:50 di martedì. Pochi minuti dopo, la rabbia dei manifestanti si abbatte sulle lastre d’acciaio poste a protezione dell’entrata frontale dell’edificio di viale Rustaveli.
Ragazzi con indosso maschere antigas, le bandiere nazionali ed europee a mo’ di mantello, tentano di sfondare le barriere colpendole furiosamente con transenne e sbarre di ferro. Riescono ad aprirsi un varco. Poi l’arrivo della polizia antisommossa, che li sgombera brutalmente e ne arresta almeno dieci. Da piazza della Libertà, dove erano in attesa, si muovono gli idranti.
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La folla dispersa si raggruppa nuovamente a una ventina di metri dal Parlamento, con le spalle a piazza della Prima repubblica. Di fronte a loro un gran numero di forze dell’ordine in file nere composte. I deputati, che hanno appena dato il via libera alla legge con 84 voti a favore e 30 contrari, stanno uscendo dal retro. L’ingresso posteriore del Parlamento, difeso da formazioni massicce di polizia antisommossa su entrambi i lati, è libero dai dimostranti fin dall’inizio della sessione plenaria, durante cui ci sono stati tafferugli tra onorevoli.
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Sono circa le 19:00 quando le forze dell’ordine si ritirano: all’interno del Parlamento non c’è più nessuno. I manifestanti riprendono possesso dell’area. Ciascuna delle colonne dell’imponente palazzo di era sovietica è marcata con vernice rossa da una lettera dell’alfabeto georgiano. Insieme, formano la frase «questo Paese ci appartiene».
Eppure, nonostante i chiari segnali di dissenso del popolo, […] il partito al potere da dodici anni, Sogno georgiano, ha deciso di andare avanti senza curarsene.
La legge prevede la creazione di un registro pubblico per le organizzazioni che «perseguono gli interessi di una potenza straniera», ovvero qualsiasi associazione della società civile, media compresi, che riceve fondi dall’estero. E cioè, prevalentemente, dagli Usa e dall’Europa, che fino a prova contraria rappresentano i più importanti alleati della Georgia, la cui Costituzione riconosce l’integrazione euroatlantica come il principale obiettivo del Paese.
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Ma a Tbilisi, è forte il timore, potrebbero aver cambiato idea. Non si tratta solo dell’approvazione di un testo che, considerato da Bruxelles un ostacolo potenzialmente insormontabile nel cammino europeo della Georgia, e criticato duramente da Washington, che ieri ha annunciato sanzioni nei confronti dei responsabili della sua adozione (se entrerà in vigore), è stato al contrario acclamato da Mosca.
Il contesto in cui si inserisce la legge, che mira espressamente a combattere i “valori pseudoliberali” e il “radicalismo”, nonché presunti tentativi di golpe da parte dell’opposizione finanziati dal “partito globale della guerra”, è puramente antioccidentale. Il vicesegretario di Stato Usa, Jim O’Brien, in visita a Tbilisi, ha descritto la narrativa di Sogno georgiano come analoga alle «teorie del complotto», prima di annunciare che 390 milioni di dollari in aiuti previsti per la Georgia sono ora «in corso di revisione, se siamo considerati avversari piuttosto che partner ». […] La legge arriverà ora sul tavolo della presidente, l’indefessa europeista Salomè Zourabichvili, che ha annunciato che non la firmerà. Ma il governo ha i numeri in Parlamento per aggirare il veto. E le proteste promettono di intensificarsi.
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