Caterina Soffici per "la Stampa"
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Ragazze, stasera tutte a casa. "Girls Night In" è la campagna lanciata dagli studenti universitari inglesi che protestano contro la crescita vertiginosa di una nuova forma di spiking nelle discoteche e nei locali frequentati dai giovani. Al posto della classica "Girls night Out", una serata fuori con le amiche, ogni mercoledì i giovani non usciranno per boicottare i locali e mettere pressione sui gestori perché facciano più controlli. Chiedono anche che la polizia intervenga preventivamente e massicciamente. È l'ultima forma di aberrante violenza nel Regno Unito e avviene con una iniezione di droga che abbassa le difese, lascia confusi, cancella la memoria.
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La mattina dopo la vittima non ricorda niente, sa che è successo qualcosa, ha dei flashback, delle visioni confuse, ma in un primo momento pensa che siano gli strascichi di una sbornia. Il livido appare dopo un paio di giorni. Su una mano, sul braccio, sul polso, punti del corpo facilmente raggiungibili mentre si balla o si sta al bancone di un pub. Quando arriva il livido e il puntino rosso lasciato dall'ago c'è la certezza di essere stati spiked.
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Quella che emerge dalle cronache delle ultime settimane (come se non bastassero le conseguenze economiche disastrose della Brexit, il Covid che rialza la testa, il Natale senza tacchini e la sovrabbondanza di maiali per mancanza di norcini europei) è una vera ondata di assalti di questo tipo contro le giovani donne che escono la sera. Ormai sono migliaia i casi riportati alla polizia. Così tanti che gli studenti universitari, da Oxford a Durham, da Manchester a Bristol fino a Edimburgo hanno deciso di scendere in sciopero. Promotrici delle iniziative di protesta sono le ragazze, ma i colleghi maschi hanno aderito in massa.
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All'Università di Loughborough, Nord Inghilterra, per un evento dello scorso mercoledì che di norma attira tremila persone, sono stati venduti 60 biglietti. Il tema è caldo ed era già al centro di una serie tv che è stata l'evento dello scorso inverno. La serie si chiama I May Destroy You (Ti potrei distruggere), scritta da Michaela Coel, andata in onda sulla Bbc, ha fatto incetta di premi, tra cui vari Bafta e il «New York Times» l'ha definita "lo spettacolo perfetto per questi nostri tempi ansiogeni". Il nucleo centrale del racconto è il consenso. Con una vita sessuale sempre più ambigua, resa più fluida anche dalle App di incontri e sullo strascico della consapevolezza risvegliata dal #Metoo, il tema del consenso è al centro del dibattito nel mondo anglosassone.
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Finora si camminava sul sottile crinale che divide il consenso dalla violenza, con questa ondata di spiking il confine è stato completamente superato. L'«Evening Standard» di ieri, nel raccontare della folla di ragazzi che sono scesi in piazza per chiedere più controlli nei locali e l'intervento massiccio della polizia, snocciola dati inquietanti. Secondo un sondaggio del sito The Tab, più di 2.600 giovani credono di essere stati vittime di spiking dall'inizio di quest' anno accademico, con la metà degli intervistati - quasi 12.000 persone - che riportano lo stesso dubbio su un amico o qualcuno che conoscono. "Credono" è la parola chiave, perché lo spiking è la forma più subdola e terrificante di violenza.
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Già una vittima di violenza sessuale può metterci giorni per mettere a fuoco e realizzare cosa è realmente successo, con questa ultima frontiera dell'abuso è ancora più difficile perché si annulla la consapevolezza e si cancellano i ricordi. Se non fosse che la realtà ancora una volta ha superato la fiction, sarebbe uno ottimo spunto per una spaventosa puntata di Black Mirror. -
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