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    I "GRETINI" HANNO IL CATTIVONE CON CUI PRENDERSELA: L’INDIA - NELL’ACCORDO AL RIBASSO SUL CLIMA PESA IL NO DI NUOVA DELHI, CHE SI È OPPOSTA ALLA “ELIMINAZIONE” DEL CARBONE OPTANDO SOLO PER UNA “RIDUZIONE”: MA IN REALTÀ DIETRO IL FALLIMENTO DELL’INTESA C’È LA REGIA DEI PAESI RICCHI, CON LE TRATTATIVE OPACHE E A PORTE CHIUSE TRA USA E UE - MAI SOTTOVALUTARE GLI INDIANI: L’ITALIA NE SA QUALCOSA CON I MARÒ…


     
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    1 - CLIMA, IL "CATTIVO" È L'INDIA MA DIETRO IL FLOP DELL'ACCORDO C'È LA REGIA DEI PAESI RICCHI

    Monica Perosino per "La Stampa"

     

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    Il nuovo giorno del Patto sul clima di Glasgow inizia sotto un cielo grigio e un persistente senso di sconforto. Tocca al primo ministro britannico Boris Johnson e al presidente della Cop26, Alok Sharma, serrare le fila e tentare di convincere il mondo che sì, la Cop26 è stata una «successo», «un risultato storico, il momento in cui si sono «suonate le campane a morto per l'energia a carbone».

     

    Come un mantra Johnson ripete più e più volte che l'obiettivo di limitare a 1,5° l'innalzamento della temperatura «è stato mantenuto». La Cop26, dice, ha messo «il mondo nella giusta direzione» nella lotta ai cambiamenti climatici, a dispetto dei «compromessi necessari per ottenere l'approvazione di 197 Stati».

     

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    È vero: la partita da oggi si gioca su campo aperto e gli Stati verranno chiamati a sottoporre i propri piani nazionali per ridurre le emissioni ogni anno, anche se sarà la Cop di Sharm-el-Sheik 2022 a raccoglierne i frutti, se mai ce ne saranno.

     

    Ma nella sala di Downing Street è l'India il convitato di pietra. Senza nominarla mai, parlando dell'annacquamento dell'ultimo minuto della risoluzione sul carbone («riduzione» e non più «eliminazione»), Johnson pare tentennare, ma poi rivendica: «Possiamo fare pressioni, possiamo blandire, possiamo incoraggiare ma non possiamo costringere le nazioni sovrane a fare ciò che non desiderano».

     

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    Il riferimento è al clamoroso colpo di scena di sabato sera, quando l'assemblea plenaria era pronta a firmare il Patto di Glasgow e a «relegare il carbone nella Storia», ma ha dovuto cedere al «ricatto» dell'India e modificare, al ribasso, il testo sui combustibili fossili.

     

    Da quel momento in avanti il mondo ha avuto il cattivo contro cui puntare il dito. Sono le parole di Alok Sharma ad aprire una finestra su chi sono i cattivi e chi i buoni della storia, quando spiega il degli occhi vicini alle lacrime dopo l'exploit dell'India: «Ho sentito il peso del mondo sulle mie spalle», dice, e «il motivo per cui ho chiesto scusa non è stato perché pensavo che non avessimo avuto un risultato storico, è perché il mondo pensava che la procedura fosse stata opaca».

     

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    Ecco, la procedura opaca a cui si riferiva Sharma sono stati i negoziati «laterali» portati avanti nell'ombra dalle grandi economie mondiali (i grandi inquinatori) a scapito dei Paesi poveri - e del clima -, che alla fine hanno spedito l'India a fare la parte del «poliziotto cattivo», mentre Cina e Stati Uniti facevano i poliziotti buoni, con Sudafrica e sauditi silenti nelle retrovie.

     

    Ben prima dello strappo di sabato sera il compromesso al ribasso era già stato avallato dagli altri due principali inquinatori mondiali, Cina e Stati Uniti, che nel loro accordo bilaterale, avevano sì promesso di potenziare l'azione sul clima, ma «gradualmente», motivo per cui l'India è poi finita sul banco degli imputati.

     

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    L'ultimo intervento in plenaria della Cina, pochi secondi prima dell'annuncio di New Delhi, ora assume un significato più chiaro: «Urlare slogan potrebbe provocare impatti negativi». Slogan tipo «stop ai combustibili fossili».

     

    La nuova intesa con Pechino-Washington, inoltre, conteneva un messaggio chiave, dicono fonti Usa: «Devi ridurre il carbone prima di potere eliminare il carbone». Ma l'opposizione indiana ha avuto diversi altri sponsor, ciascuno con un proprio movente: dall'Iran, alla Russia e l’Australia.

     

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    Con il passare delle ore, del resto, anche molti osservatori hanno puntato esplicitamente il dito contro i potenti che si sono fatti scudo dell'India. Come Brandon Wu, di Action Aid Usa: «Il problema non è l'India; il problema sono gli Stati Uniti e i Paesi ricchi che si rifiutano di fissare l'uscita dai combustibili fossili nel contesto di un'equità globale».

     

    E ce n'è per tutti: anche l'Europa ha qualche peccato, e non di poco conto. Alla Cop il G77+Cina (alcuni Paesi in via di sviluppo più la Cina) aveva proposto la creazione del «Loss and damage facility», un fondo attraverso cui finanziare gli interventi per contenere i danni causati dalla crisi climatica. Sono stati Ue e Usa a opporsi, dopo un accordo sancito a porte chiuse.

     

    2 - SOTTOVALUTATA (E NON ALLINEATA), COSÌ NUOVA DELHI SI È RIPRESA LA SCENA

    Danilo Taino per il "Corriere della Sera"

     

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    Mai sottovalutare l'India durante un negoziato, in una conferenza internazionale, nel pieno di una disputa tra Paesi. L'Italia lo sa per esperienza diretta nella vicenda dei due marò, che per lungo tempo la vide impegnata in un braccio di ferro politico, prima che Roma e Delhi decidessero di ricorrere ai tribunali internazionali.

     

    E, in effetti, la conclusione della Cop26 a Glasgow - con la sostituzione del termine «eliminazione» con «riduzione» riferiti all'uso del carbone nella produzione di elettricità - è un classico della diplomazia indiana.

     

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    Negoziatori estremamente abili: determinati a difendere, senza la remora di perdere reputazione, quelli che ritengono i loro interessi nazionali. Anzi, spesso alla guida di altri Paesi in via di sviluppo che dietro di loro si accodano per bloccare o modificare qualcosa che altri, spesso l'Occidente ma comunque i Paesi più industrializzati, considerano scontato.

     

    Il colpo a sorpresa finale, utilizzato non per la prima volta a Glasgow, è questione di contenuti ma anche l'affermazione che l'India è una potenza che non si piega alle pressioni diplomatiche, che alla sua autonomia non intende mai rinunciare.

     

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    Già una domenica mattina del novembre 2013, i negoziati in corso a Ginevra, nella sede della Wto, fallirono quando pareva che un accordo ci fosse. Si discuteva la prima liberalizzazione degli scambi da quasi un ventennio e all'ultimo minuto Delhi affermò che non si poteva fare. L'ostacolo erano le procedure doganali nel mondo. Altri Paesi - Venezuela, Bolivia, Cuba - si accodarono.

     

    A Glasgow si è mosso il governo guidato dal conservatore Narendra Modi ma a Ginevra, otto anni fa, il governo era quello del Congresso dei Gandhi. L'approccio alle questioni internazionali e allo status globale del Paese è bipartisan in India.

     

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    Un caso spettacolare, anche se poco rilevato in Occidente, di drastica affermazione di autonomia gli indiani lo hanno mostrato nel 2019, sempre in novembre, quando hanno rinunciato, nelle fasi finali dei negoziati, a entrare in uno degli accordi commerciali potenzialmente più rilevanti, la Rcep, formata da 16 Paesi dell'Asia-Pacifico, a cui hanno ora chiesto di aderire il Regno Unito e la Cina.

     

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    Il timore dei politici indiani era che avrebbe colpito negativamente i contadini, i piccoli commercianti e le imprese meno capaci di sostenere la concorrenza internazionale. Il governo Modi decise, dunque, che una posizione difensiva della propria economia era più importante dell'ingresso in un accordo commerciale che avrebbe aperto la competizione.

     

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    La posizione indiana nelle relazioni internazionali è guidata da questa forte affermazione della propria autonomia al di là delle questioni commerciali e del clima. Tradizionalmente uno dei leader dei Paesi Non Allineati fin dagli Anni Cinquanta del secolo scorso, il Paese non ha mai voluto aderire a blocchi.

     

    In certi momenti più vicino all'Unione Sovietica che agli Stati Uniti non è però mai stato un «alleato» di Mosca. Anche oggi, quando i rapporti con Washington sono enormemente migliorati, Delhi tende a non entrare in alleanze troppo strette e vincolanti.

     

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    La situazione nell'Indo-Pacifico è in grande cambiamento, l'India sente forte la pressione della Cina ai suoi confini e nei mari, ragione per la quale partecipa al cosiddetto Quad, una collaborazione con Usa, Australia e Giappone sui temi della sicurezza. Questa, però, non è, almeno per ora, un'alleanza strutturata.

     

    La gelosia per la propria posizione di grande potenza che non si accoda ad altre rimane uno dei punti cardine della diplomazia e dei governi di Delhi. Il finale della conferenza di Glasgow, nel quale le avversarie India e Cina si sono trovate accomunate, stupisce dunque fino a un certo punto.

     

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    Due grandi potenze emergenti, tra loro in contrasto serio per ragioni di confine e per realtà geopolitiche, ma unite, di fronte alla questione climatica, dalla volontà di sostenere le ragioni dei Paesi a industrializzazione recente.

     

    E allo stesso tempo determinate ad affermare la loro forza politico-diplomatica. Accordi globali su temi come il riscaldamento del pianeta non si raggiungono senza la Cina. Oggi sappiamo che non si raggiungono nemmeno senza l'India.

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