Fabiana Magrì per "la Stampa"
Aya Biran entra in tribunale
Ieri sera, secondo l'alternanza stabilita dalla giudice del tribunale della famiglia di Tel Aviv, Eitan sarebbe dovuto tornare a casa di Shmuel Peleg, all'ottavo piano del grattacielo dove vive il nonno materno, nella cittadina di Petah Tikva. Invece, dopo aver trascorso gli ultimi tre giorni con gli zii paterni Aya Biran e Or Nirko, il bambino è rimasto a dormire in una casa con giardino sulle colline affacciate sul mare, lungo la costa tra Tel Aviv e Haifa, assieme alle due cuginette.
La sentenza
LA FAMIGLIA DISTRUTTA SULLA FUNIVIA
La giudice Iris Segal Ilotovich, in una lunga e articolata sentenza, ha respinto ogni presa di posizione di Shmuel Peleg, «ha accolto la querela (di Aya Biran, ndr), ha ordinato il ritorno del minore al suo abituale luogo di residenza in Italia e ha condannato il nonno-imputato al pagamento delle spese legali per un importo di 70 mila shekel», pari a circa 18 mila e 500 euro.
Schmuel Peleg entra in tribunale
Tuttavia, spiega un esperto in diritto italiano sentito nelle udienze a Tel Aviv, il magistrato ha concesso ai Peleg una finestra temporale di sette giorni per ricorrere in appello. Nel frattempo, Eitan non può lasciare Israele. Se la Corte distrettuale, che ha il potere di sospendere l'esecutività della sentenza del Tribunale della Famiglia, non esercitasse il veto entro 15 giorni (da ieri), Aya avrebbe il dovere di riportare il piccolo Eitan in Italia.
eitan unico sopravvissuto del mottarone
Pur congratulandosi per la decisione della Corte, gli avvocati Shmuel Moran e Avi Chimi, alla guida del team dei legali della famiglia Biran, hanno dichiarato che «in questo caso non ci sono né vincitori né vinti, c'è solo Eitan. Tutto ciò che vogliamo ora è che il piccolo torni al più presto alla sua casa in Italia, ai suoi amici di scuola e alla sua famiglia. E soprattutto alle strutture terapeutiche di cui ha bisogno».
i genitori di eitan
Le reazioni
Dall'Italia hanno fatto eco gli avvocati Cristina Pagni e Grazia Cesaro, che si sono dichiarate «contente per la decisione del Tribunale di Tel Aviv e del fatto che i principi della Convenzione dell'Aja abbiano trovato applicazione». La risposta di Shmuel Peleg è arrivata tramite il portavoce. Gadi Solomon: «Le soluzioni emerse in merito al rapporto del bambino con le due famiglie non sono state esaurite adeguatamente», pertanto i Peleg sono determinati «a continuare a combattere in tutti i modi possibili, per il bene di Eitan e il diritto di crescere in Israele come desideravano i genitori».
zia paterna eitan
La sentenza non era scontata. Alla giudice Iris Segal Ilotovich piace scrivere e per farlo ha utilizzato quasi tutto il tempo a sua disposizione. Dopo aver ripercorso i fatti, ha sottolineato l'eccezionalità del caso, «insolito nel panorama di tali cause perché le parti non sono i genitori naturali del minore, ma la zia. E la persona che lo ha "rapito" - secondo lei - è il nonno».
La strategia legale dei Peleg punta sul fatto che il mondo sia diventato un villaggio globale, e che quindi stabilire quale fosse la casa di Eitan, se l'Italia o Israele, sia impossibile. Al contrario, la Corte ha intravisto in questa mobilità una minaccia, sottolineando come «questa realtà ha reso facile la possibilità di rapire bambini e trasferirli da un paese all'altro».
Ultima foto con Eitan
Ha dunque prevalso l'opinione «che il luogo di residenza "normale" del minore quando è arrivato in Israele era Pavia, in Italia, con sua zia», e che per il principio di continuità nella sua vita, lì debba tornare.
Le due famiglie
Il portavoce dei Peleg ha reso noto che «la famiglia è determinata a continuare a combattere in tutti i modi possibili, per il bene di Eitan, il suo benessere e il diritto di crescere in Israele come desideravano i suoi genitori». Più impulsiva - come ormai la stampa ha imparato a conoscere Esther Cohen, l'ex-moglie di Shmuel Peleg, madre della defunta Tal - è arrivata la reazione della «pancia» dei Peleg. «Si è verificato un secondo disastro, dopo quello di cinque mesi fa. Ed è un disastro nazionale».
Ancora una volta, di fronte alle telecamere, la nonna materna di Eitan si è sfogata, parlando di «un giorno di lutto nazionale». Con dolore e rabbia pronuncia accuse disperate. «Non riesco a capacitarmi del fatto che Israele - ha insistito - mi carpisca l'ultimo nipote, ciò che resta di mia figlia».
La famiglia di Eitan
E insinua che «la decisione del Tribunale è stata influenzata da considerazioni politiche sui rapporti con l'Italia». «Eravamo a pranzo a casa dell'avvocato Shmuel Moran, a Tel Aviv. Tutti noi: Aya, le bambine ed Eitan. Quando è arrivata la notizia della sentenza, è stata un'emozione unica. E ora siamo sopraffatti dalla gioia», racconta al telefono con La Stampa Or Nirko, il marito di Aya Biran, la sorella del defunto Amit, il padre del piccolo Eitan.
Un pelouche per Eitan
«Dopo cinque mesi durissimi - continua - ora stiamo cercando di capire come organizzare la famiglia per il rientro in Italia». Mario Fabrizio Fracassi, sindaco di Pavia aggiunge: «Finché non vedrò il piccolo a casa propria, cioè nei luoghi che gli sono familiari qui da noi, non sarò tranquillo».
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