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    I MIEI ERRORI MIGLIORI? LE SBORNIE” - DRUSILLA FOER RESUSCITA L’ALMANACCO E LO RIPORTA SU RAI2: “MA NIENTE MAESTRI ALLA LAVAGNA. CERCHERÒ DI PARLARE AL MEGLIO POSSIBILE, CHE È GIÀ TANTO. I GIOVANI? LI TROVO MORALI. NOI ABBIAMO AVUTO IL PRIVILEGIO DELLA SCOPERTA. IL SESSO, PER NOI, ERA UN MISTERO: ORA È COME LA GIOCONDA. QUALCOSA CHE HAI VISTO TALMENTE TANTE VOLTE CHE NON TI STUPISCI” – I SEGRETI NEL CASSETTO ACCANTO AL LETTO, LA CAZZIATA ALLA SCORTA DI SAVIANO A SANREMO E…


     
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    Simonetta Sciandivasci per “la Stampa”

     

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    A riportare l'Almanacco del giorno dopo in televisione (dal 6 giugno, tutte le sere su Rai 2, prima del tg) non poteva che essere Drusilla Foer.

    Perché lei arriva dal mondo che rivorremmo indietro e che però non è esistito. Un mondo elegante, gentile, disinteressato alla normalità e capace di tutelare l'unicità di tutti. È il suo trucco, la sua magia: si veste di ieri e incarna il domani. Ci fa sentire la nostalgia di un futuro possibile, ora che di futuro siamo a corto, sprovvisti, e allora ne sogniamo uno retrodatato per ricavarne una rassicurazione.

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    E adesso farà di più: ci dirà tutte le sere che «La vita accade, domani qualcosa succederà. A questo serviva l'Almanacco e questo tornerà a fare: preparare al giorno che viene, nella certezza che verrà».

    L'anziana soubrette che a Sanremo ha parlato di unicità con addosso abiti più realisti del re; la sola capace di dimostrare che la maschera fa la persona e che le parole fanno la storia più del tempo, dopo il ritorno a teatro, si prende un programma di trent' anni fa e lo riapre, lo allunga, lo riscrive: fa una cosa nuova che è già successa.

    UNA DELLE PRIME APPARIZIONI DI DRUSILLA FOER UNA DELLE PRIME APPARIZIONI DI DRUSILLA FOER

     

    Lei è brava ad andare indietro senza tornare indietro.

    «È un complimento?».

    Constatazione.

    «Meglio».

     

    Le faccio una domanda che fa fare Leopardi a un venditore di Almanacchi nelle Operette Morali: rifarebbe la vita che ha fatto, con tutti i piaceri e i dispiaceri che ha passato?

    «Non perderei mai un'occasione tanto fortunata, perché la ricchezza della vita sono le esperienze e le esperienze migliori spesso ce le danno gli errori, e io ne ho ancora di nuovi e bellissimi da fare».

    GIANLUCA GORI GIANLUCA GORI

     

    I suoi errori migliori?

    «Le sbornie. Gli eccessi sono importanti: servono a ridimensionare l'esperienza e riportarla in un luogo più sano, se non ragionevole. Mi manca, ogni tanto, la sregolatezza».

    Non se ne vede più tanta.

    «E forse è giusto così. Quando ero giovane io, era un fatto di contrapposizione alla società borghese: ora sarebbe soltanto una ripetizione. Le rivoluzioni sono vitali nel momento in cui accadono: non vanno sfilacciate nel tempo».

     

    Le piacciono i giovani di questo tempo?

    «I giovani mi piacciono sempre. Ogni tanto vorrei vederli più dissennati, ma poi capisco che non lo sono per reazione alla nostra eredità smidollata: abbiamo consegnato loro un mondo che crolla, ed è normale che cerchino solidità».

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    Li trova moralisti?

    «Li trovo morali. Spero che si divertano. Noi siamo stati più fortunati anche in questo: abbiamo avuto il privilegio della scoperta, che è la cosa più divertente di tutte. Il sesso, per noi, era un mistero: ora è come la Gioconda o le piramidi, qualcosa che hai visto talmente tante volte e ovunque che, quando ti ci trovi davanti, non ti stupisci, non ti innamori».

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    Non mi rifili la favola del tutto già detto e tutto già visto.

    «Ma io dico un'altra cosa: non che non ci sia più niente da scoprire, ma che l'eccesso di informazione ci impigrisce. E che siamo sempre meno capaci di scegliere, di selezionare le cose importanti».

     

    L'Almanacco non è proprio una selezione delle cose importanti?

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    «La curiosità e l'attenzione sono spazi così vasti che possono spaventare. E allora, oltre ad accenderli, è importante ordinarli. Avere qualche suggerimento preciso su dove andare: ecco cosa credo sia necessario. L'Almanacco del giorno dopo venne trasmesso la prima volta nel 1976: era un'altra Rai perché era un'altra Italia, e cioè un Paese da informare, persino da istruire. Il servizio pubblico era inteso come un'offerta che potesse alzare e uniformare il livello culturale di un paese ancora acerbo. E l'Almanacco incarnava lo spirito di questa impresa, era un programma delizioso e mai cattedratico, dava indicazioni piccole e importanti: quando sorge il sole, quando cala la luna, come si usa un verbo».

     

    Ripristinerà la rubrica di Cesare De Marchi, «Conosciamo l'italiano»?

    «No, niente maestri alla lavagna. Cercherò di parlare al meglio possibile, che è già tanto, no? E poi cercherò di dare una visione delle cose, non solo indicazioni. Non mi sottrarrò dall'affrontare temi importanti quando lo riterrò necessario. E canterò e chiacchiererò con i miei ospiti».

     

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    È agitata?

    «Eccitata dalla sfida. La tv non è il mio habitat e io non funziono come personaggio comico: sono un soggetto piuttosto conflittuale».

    Ha detto che a Sanremo non ha mai pensato al fatto che la guardavano milioni di persone: si è concentrata su una. Chi?

    «La mia vicina di casa Antonella, che mi porta sempre delle torte meravigliose. Se ti rivolgi a un individuo solo, per induzione ti rivolgi a tutti e non vieni cannibalizzato né dalla paura né dall'ossessione di sedurre chi ti guarda».

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    Chi l'ha sedotta l'ultima volta?

    «Le dico il penultimo. Un uomo incantevole completamente ignaro di esserlo, e infatti inciampava, arrossiva, balbettava. Mi piacciono sempre le persone visibilmente attraenti che non usano l'aspetto per camuffare le loro fragilità. E detesto i vanitosi: mi annoiano. La civetteria è più carina: è un tentativo. E poi quant' è sexy un uomo che non sa di essere sexy».

     

    Il miglior ricordo di Sanremo?

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    «Gli abbracci, in particolare quello di Massimo Ranieri. Ho avuto la sensazione che tutte le persone che mi hanno abbracciata, lo hanno fatto perché ne avevano voglia, quasi bisogno. Non solo i colleghi, ma pure le sarte, i cameramen, e tutte le persone dello staff. E poi Amadeus, che non mi ha messo addosso una figurina e si è confrontato con me su quello che avremmo fatto. Mi ha chiamata dopo aver letto il mio libro: ha capito che avevo una storia da raccontare. Tutti gli artisti li cerca così: sa che parla la canzone prima dell'interprete perché in una canzone sosta e alberga la narrazione».

     

    Dietro le quinte?

    «Ho rimproverato una banda di ragazzoni con l'aria assertiva perché sostavano in corridoio e io dovevo passare con un vestito molto ingombrante. "Dovete stare proprio qua"? E sì: dovevano stare proprio là: erano la scorta di Roberto Saviano. Capisce la mia vaghezza?».

     

    Spero non la perda mai.

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    «La rassicuro: appena mi accorgo di perderla, tiro i remi in barca».

     

    E se ne va via come Mary Poppins?

    «Esattamente come lei, che va via quando capisce di aver portato qualcosa, per andare da un'altra parte dove c'è più bisogno di lei. Io, magari, potrei andarmene dove ho più bisogno di me, e tornare a fare una vita più privata. Mi piace tutta questa sollecitazione esterna: ho sempre avuto una vita aperta perché ho conosciuto tante persone, ma ora tante persone conoscono me senza che io conosca loro».

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    È già stanca?

    «No, ma vorrei evitare di stancare gli altri».

    La mette a disagio quando dicono che lei è un'icona di stile?

    «A parte che, in genere, si diventa icona da morte oppure per pervicace ostinazione, come è stato per Madonna, mi stupisco e intenerisco. Certo, sono più contenta quando mi dicono: grazie, lei mi hai aiutato, mi hai confortato».

     

    Che cosa sogna di fare?

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    «Voglio scrivere una guida alle pensioni d'Italia a due stelle. Sono così carine: le lenzuola rammendate, i fiori finti, le tendine, tutti quegli sforzi che fanno per essere accoglienti. Le signore della reception sgualcite e gentili che cerco sempre di non svegliare evitando di rientrare a notte fonda. Così come mia madre riassettava la casa prima che arrivasse la domestica per non gravare troppo su di lei. Io mi sono sempre rifatta il letto da sola: è il mio imperativo categorico».

     

    Qual è l'ultima cosa che si toglie di dosso prima di andare a dormire?

    «I calzini. Spesso dormo vestita, e fa niente se non è igienico, ma scarpe e calzini li tolgo sempre e li ho sempre tolti, ovunque io abbia dormito. E le assicuro che ho dormito ovunque. E conservo ancora i calzini di mio padre in un cassetto: mi piace pensare che non siano stati lavati dall'ultima volta che li ha messi».

     

    Nel cassetto di fianco che c'è?

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    «I pettini degli uomini che ho amato. Sei. Sono regali che ho chiesto a ciascuno di loro. Perché sì: i regali si chiedono».

     

    Mi dice il cognome di sua madre?

    «Tolomei. E mi sembra fantastico potersi chiamare con il cognome di entrambi i genitori. È uno di quei traguardi di civiltà che sogno da sempre, come un Papa donna, i bagni senza distinzione di sesso, i piccoli teatri al posto di H&M».

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