Silvia Turin per il “Corriere della Sera”
amore ai tempi del coronavirus
L'andamento dell'epidemia in Italia è in costante discesa, ma ancora si registrano centinaia di casi, soprattutto in Lombardia. Non si possono considerare esattamente tutte «nuove infezioni», piuttosto si tratta di nuove diagnosi. Tracciando un identikit delle segnalazioni, scopriamo che i nuovi contagi sono rarissimi. «Al San Martino di Genova non arrivano praticamente più casi "freschi" da dieci giorni - dice il primario della clinica di Malattie infettive, Matteo Bassetti -. Abbiamo avuto un cluster in una Rsa dove abbiamo ricoverato cinque nonnine che sono già tutte uscite. Una sola aveva un quadro più impegnativo, ma niente a che vedere con quello che c'era a marzo. Ci sono tanti soggetti che definiamo "grigi", arrivano con sintomi respiratori e rimangono per un paio di giorni. Le posso dire che su una trentina di soggetti, negli ultimi 15 giorni neanche uno era Covid».
coronavirus contagiati
Stessa situazione a Milano: «Anche da noi nessun ricovero per Covid nelle ultime due settimane - racconta Sergio Harari, pneumologo all'Ospedale San Giuseppe MultiMedica -. In realtà non ci sono casi ospedalieri». «Noi non ricoveriamo un paziente in terapia intensiva dal 16 aprile», conferma Alberto Zangrillo, direttore della terapia intensiva all'ospedale San Raffaele di Milano. Il monitoraggio completo lo stanno facendo di settimana in settimana all'Istituto superiore di Sanità (Iss). L'epidemiologo che coordina i report, esperto di Modelli matematici e Biostatistica, è Patrizio Pezzotti, che osserva una diminuzione dell'età media: «Sono persone più giovani di quelle che vedevamo prima, 55 anni rispetto a 60 anni di media. Essendoci meno infezioni, le capacità del sistema di fare diagnosi sulle persone meno sintomatiche è aumentata».
sergio harari
L'Ats di Milano, diretta da Vittorio Demicheli, sui nuovi casi fa una distinzione precisa: «Nella settimana all'inizio di giugno circa il 5% dei casi sono venuti dalle Rsa, il 3% dagli operatori sanitari, il 10% dai test sierologici positivi e l'82% sono "civili", categoria generica che esclude le altre. Nessuno può dire dove si sono contagiati i nuovi infetti. In gran parte, però, dovrebbero essere contagi di origine famigliare contratti, finora, durante il lockdown».
Matteo Bassetti 1
«Sì sono pazienti un po' più giovani con caratteristiche di minore gravità. C'è ancora qualche polmonite di una certa entità in persone avanti con gli anni - dichiara Massimo Galli , primario infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano --, ma sono infezioni vecchie». Mediamente non ci sono casi gravi e quasi nessun ricovero ospedaliero. «Nelle ultime due settimane abbiamo ricoverato cinque pazienti, ma sono ricoveri precauzionali, nuove diagnosi senza alcun rilievo clinico», racconta Zangrillo. «È un dato di fatto fuori di ogni dubbio che le persone che adesso ricoveriamo, innanzitutto sono poche e poi stanno meglio», osserva Massimo Galli.
«È successo qualcosa nell'aggressività virale, e credo non dipenda solo dal numero di casi - sostiene Harari -. Non sappiamo se sia qualcosa nella carica virale o se ci sia stata una mutazione non identificata, o altro ancora». «Non credo sia solo una questione statistica: i quadri devastanti che abbiamo visto nella prima fase non li vediamo più da un mese, un mese e mezzo», gli fa eco Bassetti da Genova.
zangrillo
Un po' diversa l'analisi dell'Iss: «È un quadro con meno "sotto diagnosi". Per la maggiore capacità diagnostica di identificare casi lievi, la proporzione dei casi gravi è diminuita, ma non perché sia cambiata la malattia», afferma Pezzotti. Dove si infettano i positivi più recenti, dove sono quei focolai di cui ha parlato l'ultimo monitoraggio Iss? «I cluster familiari sono quelli che vediamo più facilmente perché identifichiamo e tamponiamo tutti i membri della famiglia - dice Pezzotti -. La Lombardia ha molti più focolai di questo tipo rispetto ad altre regioni. Poi, continuiamo a vedere casi tra gli operatori sanitari, ma non si tratta di un aumento delle infezioni, bensì di un maggiore controllo. Ci sono ancora focolai, infine, nelle case di cura». Nessun segnale preoccupante dopo le riaperture?
coronavirus contagiati
«Non ci sono evidenze per ora - continua l'epidemiologo dell'Iss -, ma siamo cauti, perché non avere segnali non vuol dire che non ci siano infezioni. Se ci fossero focolai tra i giovani, sarebbero casi asintomatici e se infettassero i loro cari lo sapremmo tra 2-3 settimane. Al momento da ambiti lavorativi non abbiamo casi: sono convinto che le aziende stiano rispettando le regole, c'è più rilassatezza di comportamenti nel tempo libero».
«Qui a Milano i contagi arrivano da casa: si sono ammalati prima della chiusura o, in casa loro, durante la chiusura. Le nuove diagnosi sono semplicemente persone che finalmente sono riuscite a farsi un tampone. Per molti ha richiesto parecchio tempo. Non è finita la malattia, abbiamo finito la prima ondata», dice Galli dal Sacco. Un quadro con pochi ambiti a rischio e che sembra escludere dalle nuove infezioni le attività «liberate» dopo il lockdown che riguardano tempo libero e ritorno al lavoro.
«Sono molto felice che i dati confermino quello che avevo anticipato - dice Zangrillo -. Evidentemente le misure di contenimento stanno funzionando e ci consentiranno a breve di dimenticarci del tutto di questo virus», azzarda. «Non sono pessimista, ma resto perplesso rispetto ad atteggiamenti troppo liberali, soprattutto tra i giovani», ammonisce Galli. Il virus circola ancora e ci sono gruppi di infezioni attive, ma se mettiamo insieme la capacità di monitorare, l'andamento decrescente e il fatto che i nuovi casi sono spesso nuove diagnosi c'è di che essere ottimisti. Secondo gli esperti dell'Iss, se per tutto giugno si continuerà con questa progressione, per l'estate si potrà tirare un sospiro di sollievo. Che non vuol dire poter vivere come prima, ma con meno preoccupazione sì.