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1. SULLA GIOSTRA DI RIGOLETTO TRIONFA LA DISTOPIA PULP
Andrea Penna per La Repubblica - Roma
Quando sullo schermo Gilda svanisce fra le onde del mare si spegne anche l' ultimo canto della sua voce mentre irrompe l' urlo del padre: la maledizione che chiude l' opera trascina con sé l' unica persona a cui Rigoletto, la maschera dolente di Roberto Frontali, teneva al mondo.
Il Rigoletto presentato giovedì dall' Opera di Roma al Circo Massimo si è trasformato in un vero Kolossal fra teatro, cinema e tv. Damiano Michieletto mette al centro della storia la relazione malata e possessiva fra padre e figlia, che attraversa una realtà nera, perfino squallida, illuminata solo dalla gioventù ingenua quanto ribelle di Gilda e dal ricordo della madre, che nei super- 8 seppiati di una giornata al mare si confonde con quello della figlia, la radiosa Rosa Feola.
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Michieletto incrocia il piano cinematografico dello schermo, i video in presa diretta che corrono su un dettaglio o raccontano gli antefatti, con la scena occupata da grosse berline, un furgone- caravan ( servirà a Maddalena e Sparafucile, l' ottimo Riccardo Zanellato) e la giostra-simbolo, casa, ruota della vita, vortice di ebbrezza giovanile, roulette in cui si rischia la vita.
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È una contemporaneità distopica fitta di spunti cinematografici da Carlito' s way, Lo chiamavano Jeeg Robot e Casino per il Duca boss di Ivan Ayon Rivas, Arancia meccanica e Joker per la gang, fino a Luhrmann e Tarantino per i riferimenti pulp; estetica da clip e suggestioni d' arte, da Carsten Höller a Edward Kienholz, per un racconto in cui la violenza non è edulcorata ma tangibile e contemporanea, anche se a tratti rischia di appiattire in un unico deserto metropolitano di virilità tossica il mondo del duca, il vincitore, e quello di Rigoletto, il vinto, relegando il primo a un grottesco destino da caratterista.
IL RIGOLETTO DI DAMIANO MICHIELETTO
In ogni caso questo Rigoletto, in scena fino a lunedì, è uno spettacolo riuscito che offre momenti toccanti; le presenze della politica, a partire dal Presidente della Repubblica, fino a tanti volti dell' ambiente artistico hanno sottolineato invece il segno di vitalità di un mondo, quello del teatro musicale, fortemente minacciato dalla pandemia:
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un evento spettacolare che ha chiesto delle mediazioni e non si può che provare gratitudine per un direttore del prestigio di Daniele Gatti, che come direttore musicale del teatro ha accettato di proporre la sua lettura intimista e cesellata di Rigoletto in un contesto in cui amplificazioni, luci, telecamere, distanziamento di artisti e del coro posto sulle ali della scena, rendevano problematico perfino tenere insieme buca e palcoscenico.
Come sempre il miracolo vero lo realizza solo la musica, la speranza è che queste serate romane diano il via al ritorno alle attività di tutti teatri.
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Teatro dell' Opera al Circo Massimo.
Repliche questa sera e lunedì 20. Info tel. 06.481601.
RIVOLTA CONTRO IL RIGOLETTO «MODERNO»
Piera Anna Franini per il Giornale
Com' è l' opera ai tempi del Covid? Il coronavirus ha accelerato un processo in atto, quello delle regie dirompenti. I registi Damiano Michieletto, a Roma con Rigoletto e Valentina Carrasco, a Viareggio con Gianni Schicchi, hanno firmato i primi melodrammi tornati sulle scene dopo lo stop da pandemia.
filippo crivelli
La Carrasco chiama in campo la contemporaneità, proprio quella che - per la verità - vorremmo fuggire, per cui scatta un bacio e interviene la protezione civile, gli artisti indossano guanti e mascherine, il palco è ossessivamente igienizzato, e archiviata la plastic tax, ecco plastica ovunque.
Al Circo Massimo di Roma è appena andato in scena un Rigoletto noir, racconto di un mondo criminale anni Ottanta. «Rigoletto è di Giuseppe Verdi, quindi di Francesco Maria Piave. Poi arriva questo regista che dicono essere un genio e mette in scena una banda, vedi figure che ricordano Bobby Solo e Little Tony. Non si capisce come scatta la vendetta.
Il Quartetto, una delle pagine più belle del melodramma, finisce in un camper. Sono letture che già in partenza respingono il pubblico dei vecchi. Forse si pensa che in compenso si attireranno i più giovani? Non mi sembra una buona strategia. I grandi registi, penso a Zeffirelli e Strehler, erano rispettosi della musica: il punto di partenza» è l' osservazione di Fedele Confalonieri che alla musica ha riservato passioni e studi culminati in un diploma di pianoforte.
valentina carrasco
La cantante Katia Ricciarelli, sollecitata sul tema delle regie, è chiara: «L' opera ha un linguaggio che risale a centinaia di anni fa. Ci sono parole cadute in disuso. Può essere che il libretto chieda all' artista di tenere una spada in mano dall' inizio alla fine, la cosa fa ridere? Pazienza, se ami il melodramma, devi amarlo per quello che è. Bisogna andare al passo coi tempi, non c' è dubbio.
katia ricciarelli
Ma questo non vuol dire stravolgere tutto, faremmo altrimenti male al melodramma. Vanno eliminati fronzoli, parrucconi, le corna e la coda di Mefistolfole per dire. lo spettacolo va consegnato snello e pulito. Ma su tutto vige il buon gusto e il Bello. Ciò che più conta è la musica, le voci, la bravura dei cantanti-attori.
Solo così possiamo sperare di portare i giovani a teatro. Siamo in un periodo difficilissimo. Penso sarebbe ragionevole procedere a piccoli passi. E poi, siamo onesti: in momenti così difficili abbiamo bisogno di andare a teatro per sognare e trovare un po' di magia».
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Il regista milanese Filippo Crivelli ironizza sullo strapotere della regia. E nel commentare il Rigoletto romano dice, la locandina dovrebbe indicare - Rigoletto del regista Michieletto con inserti musicali di Giuseppe Verdi -.
No, non è una regia moderna: semplicemente non c' è regia. Se una persona sentisse parlare di Rigoletto, si incuriosisse e volesse andare a vederlo, non capirebbe niente seguendo una produzione così. Si vedono dei movimenti, immagini talvolta belle ma spesso stralunate, e allora ti chiedi se siano le allucinazioni di Rigoletto. Salvo solo la scena di Gilda sulla giostra, lì ho avvertito un momento poetico. L' unico però».
Spesso il rapporto fra la buca d' orchestra e il palcoscenico si fa rovente. Ricordiamo le sfuriate dei registi di Giovanna d' Arco, prima della Scala del 2015, inviperiti perché il direttore Riccardo Chailly aveva bocciato una serie di trovate sceniche che nulla c' entravano col dramma.
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Riccardo Muti ormai solo raramente dirige opere in forma scenica, e soprattutto quando di mezzo c' è l' amato Verdi. In un' intervista del 2019 a Classic Voice dichiarò che «tutti i grandi registi oggi su Verdi cadono. Verdi non sopporta l' intellettualismo.
Certamente il palcoscenico non dov' essere sovraccaricato di cose in contrasto con la musica. Zeffirelli lo sovraccaricava molto soprattutto negli ultimi tempi ma il Don Carlo era il trionfo di un fare artistico e artigianale che sta sparendo».
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