DAGOREPORT
Giuliano Foschini e Fabio Tonacci per la Repubblica - Estratti
PASQUALE STRIANO
Pensati Serpico. Ma anche un po’ spione per conto terzi, pasticcione, persino vittima, comunque sempre «per amor di giustizia». Pasquale Striano si racconta. Dice che ha fatto quel che ha fatto «per fare le indagini come si deve». E anche come non si deve, «con metodi non ortodossi», altresì detti «alla carlona» ammette lui, e il virgolettato è tutto suo. Perché alla fine «loro », gli inquirenti, «stanno inventando una marea di cose per amplificare una vicenda che invece è ridicola ».
Silente con la procura di Perugia che lo ha messo sotto inchiesta e ancora lo aspetta per l’interrogatorio, il luogotenente della Finanza al centro della grande spiata su politici e vip preferisce parlare alla stampa. Sarebbe meglio dire sussurrare. Con la formula della confessione «alle persone a lui più vicine », quindi del colloquio che impegna meno di un’intervista, ieri sono uscite sulla Verità molte dichiarazioni e riflessioni attribuite a Striano e non smentite dall’interessato.
Il luogotenente, accusato dalla procura guidata da Raffaele Cantone di migliaia di accessi abusivi alle banche dati giudiziarie e finanziarie in uso alla Direzione nazionale antimafia dove è stato in servizio fino al novembre 2022, si prepara alla fase due della sua parabola discendente: nessuna risposta ai pm in attesa della chiusura delle indagini, ma sfoghi a mezzo stampa, disseminati di messaggi obliqui.
ANTONIO LAUDATI
(...)
Quando ha fatto talune ricerche, per esempio quelle su Berlusconi, sostiene che gli sia stato chiesto «dal procuratore». Si riferisce ad Antonio Laudati con lui indagato a Perugia. Ma, secondo quanto riporta la Verità , in un caso anche a Giovanni Melillo, capo dell’Antimafia e dell’Antiterrorismo che ha condotto le indagini su di lui insieme a Cantone.
Affermazioni, quelle di Striano, che più che a una blindatura assomigliano a un’ammissione di colpevolezza. Tuttavia, nel colloquio sembra più interessato a demolire l’immagine della Dna dove per sette anni ha lavorato, definita ora struttura che «non ha più motivo di esistere», ora accolita di investigatori «non più in grado di fare indagini », dunque quanto di più lontano «da come l’aveva concepita Giovanni Falcone».
PASQUALE STRIANO
Tra i suoi pensieri si leggono messaggi che suonano come pizzini, anche assai espliciti. «Qui non ci sono fatti inquietanti, come sostengono gli inquirenti, le cose diventano tali in altre stanze, capito?». E questo: «Nella Dna esisteva una lotta tra i magistrati, una gara a chi era più bravo, più bello e aveva più potere». A chi sta parlando il luogotenente? Che partita è cominciata?
Per farsi un’idea è necessario comprendere chi è Pasquale Striano. Cinquantanove anni, ufficiale di polizia giudiziaria esperto, costruisce la carriera negli uffici operativi più importanti (la Dia, il Valutario, la Dna) e col sindacato Silf, cui per un periodo si è dedicato anima e corpo per una ragione particolare: aveva acceso un faro sui suicidi nelle forze di polizia, poco dopo un fatto tragico. Un suo collega, Omar Pace, con cui aveva lavorato alla Dia, si era suicidato con la pistola di ordinanza nei giorni precedenti alla deposizione nel processo contro l’ex ministro Claudio Scajola, al quale Pace aveva lavorato.
Striano già allora si vedeva un combattente solitario, solo contro il Sistema, un uomo dello Stato che si sentiva autorizzato a calpestare le procedure e i protocolli pur di arrivare all’obiettivo. «Le sorti giudiziarie del singolo rimangono ai margini rispetto alla moralità e allo squallore dei fatti che restano impressi nelle coscienze dei più ed è indiscutibile che esse pesano come macigni in ciascuno di noi: non si può più accettare né tollerare questo decadimento morale ed etico », scriveva lui stesso dopo la pubblicazione sui giornali dell’intercettazione di Matteo Renzi nella quale criticava Enrico Letta.
POLITICI - MANAGER E VIP SPIATI DA PASQUALE STRIANO
Ecco, Pasquale Striano si pensa così: un ufficiale di polizia giudiziaria che crede di essere una sorta di supereroe al servizio del Bene. Cosa sia il Bene, lo decide lui. Un Serpico integerrimo e allergico a certe regole, anche quando sono quelle sacre poste a tutela della privacy dei cittadini più o meno noti. In questo, il finanziere assomiglia ad altri noti personaggi incontrati nella storia recente delle investigazioni di polizia.
Il procuratore Antimafia Giovanni Mellillo, che una volta insediato ha riorganizzato l’ufficio del Gruppo Sos all’interno della Dna per evitare altre fughe di notizie, ha detto che con Striano ha parlato sempre e solo di Segnalazioni di operazioni sospette. «Potrebbe essere che Melillo, vista la sua tenera età, si possa essere dimenticato di quanto ci siamo detti?», ribatte Striano, con una sgradevole battuta.
Il punto, però, non è solo ciò che è stato, ma ciò che accadrà nel futuro prossimo. Striano intende difendersi. E per farlo — dall’ufficio in Abruzzo dove è stato trasferito dopo lo scandalo — sta puntando tutto su tre linee. La prima: «Non c’è alcun sistema dietro di me». La seconda: «La procura di Perugia non ha capito niente del mio lavoro».
RAFFAELE CANTONE
La terza, la più inedita: «Sono la vittima di qualcosa che non è legato agli accessi». La aggancia alla pubblicazione sul Domani dei redditi di Guido Crosetto percepiti da Leonardo, da cui è scaturito l’esposto del ministro che ha dato il via all’indagine sugli accessi abusivi. «Dietro a questa vicenda c’è qualcosa di più grosso. Qui stiamo parlando del mondo delle armi (...) non è solo una questione di bed & breakfast».
Cioè la ragione sociale della ditta di cui Crosetto tuttora possiede quote coi fratelli imprenditori Gaetano e Giovanni Mangione. «Se le cedi (le quote, ndr) ammetti qualcosa, però se rimani dentro, devi insistere sul fatto che c’è stato un altro problema, quello della diffusione dei redditi. In questo modo si è distolta l’attenzione e l’altra storia è andata in cavalleria».
GUIDO CROSETTO - ILLUSTRAZIONE DEL FATTO QUOTIDIANO
La chiosa di Striano è una riflessione sul metodo applicato per anni e anni che lo vedeva entrare e uscire dagli archivi. «Poi magari il giudice mi dirà: non lo dovevi fare. Allora io risponderò: Non dovevo chiedere un’autorizzazione a monte. E comunque i miei risultati arrivavano con questo metodo di lavoro. Sono a posto con la mia coscienza, poi che sia stato fatto tutto un po’ alla carlona, sono il primo a dirlo ». Alla carlona. Un modo pittoresco per dire: violando i database con le informazioni più riservate degli italiani.
GUIDO CROSETTO