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    CHI DICE DI DONNA, DICE DANNO - I PM DI ROMA SONO CONVINTI CHE L'AMICO DI CONTE E GIANLUCA ESPOSITO AVESSERO UN METODO PRECISO PER FARE SOLDI: PRIMA FACEVANO LO SCREENING PER INDIVIDUARE LE AZIENDE CON CUI PUNTARE AI BANDI, POI AVVIAVANO I PRIMI CONTATTI PER ILLUSTRARE GLI OBIETTIVI, OVVERO INTERCETTARE FINANZIAMENTI PUBBLICI - E ALLA FINE IL PROPONEVANO UN CONTRATTO CHE PREVEDEVA UNA PERCENTUALE, A LORO FAVORE, PARI AL 5 PER CENTO DELL'IMPORTO COMPLESSIVO DELLE OPERAZIONI…


     
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    Fabio Amendolara per “La Verità”

     

    Luca Di Donna Luca Di Donna

    Prima lo screening per individuare le aziende con cui puntare ai bandi, poi i primi contatti per illustrare gli obiettivi, ovvero intercettare finanziamenti pubblici a gogo, e, infine, il contratto con tanto di royalty. «Una percentuale pari al 5 per cento dell'importo complessivo delle operazioni». I magistrati della Procura di Roma ritengono che andasse ai due big del settore: gli avvocati Luca Di Donna e Gianluca Maria Carmelo Esposito.

     

    Una bozza di contratto l'ha esibita davanti ai carabinieri l'imprenditore calabrese Francesco Alcaro, classe 1985, titolare della società informatica Jarvit srl. Di Donna ed Esposito, il Gatto e la Volpe di questa storia, l'avrebbero agganciato per proporgli la realizzazione del Polo strategico per la salute in Calabria. Ovviamente il progetto era finanziato con fondi pubblici. «Noi avevamo la tecnologia di base», ha spiegato Alcaro alla Verità, «e siccome la nostra azienda non si occupa della parte burocratico-legale, né dei processi per richiedere finanziamenti o roba del genere, perché facciamo tecnologia e software, per raggiungere l'obiettivo ci fu proposta una partnership».

    GIANLUCA ESPOSITO GIANLUCA ESPOSITO

     

    La finalità, quindi, era quella di proporsi per la messa in opera del Polo strategico per la salute, che in tempi di Covid deve essere uno di quei progetti sui quali le Regioni sono pronte a puntare un po' di soldi. Ma il Gatto e la Volpe come sono arrivati alla Jarvit di Alcaro? «Noi ci occupiamo anche di sistemi industriali, suppongo che le ricerche le avranno fatte su questo. Penso che non eravamo soltanto noi i potenziali clienti-partner». L'imprenditore spiega così il metodo Di Donna. L'avvocato ha chiamato in azienda e deve aver pizzicato le corde giuste.

     

    LUCA DI DONNA COLLABORATORE DELLA COMMISSIONE BICAMERALE ANTIMAFIA LUCA DI DONNA COLLABORATORE DELLA COMMISSIONE BICAMERALE ANTIMAFIA

    «Ci ha cercati lui», racconta Alcaro, «l'avvocato si presentava bene, sembrava abbastanza importante». Le premesse c'erano tutte. «Ci ha spiegato che aveva a disposizione degli esperti, diceva di venire da una scuola importante e che aveva le risorse per strutturare tutta la documentazione utile», afferma Alcaro. E aggiunge: «Però per me questi non sono dei dettagli che potessero far pensare a qualcosa di illecito».

     

    Anche perché Di Donna, ex socio di Giuseppe Conte, era diventato perfino consulente della commissione antimafia, paradosso, per le valutazioni sulle attività criminali in tempi di Covid. Ma qualche sospetto all'imprenditore deve essere venuto, visto che a un certo punto la Jarvit ha chiesto di annullare il contratto. «Il progetto alla fine non si è fatto», spiega l'imprenditore, «e non abbiamo usufruito dei servizi che ci erano stati proposti dagli avvocati, perché era un contratto per il raggiungimento di obiettivi. E non abbiamo mai realizzato nulla. Questi progetti sono così, non si possono fare con un mero business plan».

     

    VALERIO DE LUCA VALERIO DE LUCA

    A quel punto alla Jarvil è suonato un campanello d'allarme. «Non c'era alcuna parte attiva», afferma l'imprenditore. In pratica, la Jarvit deve essere servita come specchietto per le allodole. O, almeno, deve essere ciò che ha sospettato Alcaro: «Il contratto era un mero pezzo di carta, perché non c'era un'organizzazione. I nostri progetti sono molto strutturati. Quando partono si avvia contestualmente un processo». In questo caso tutto sembrava concentrarsi invece su requisiti e scartoffie. E, così, alla Jarvit decisero di troncare con i due avvocati.

     

    «Dopo esserci consultati con il nostro legale abbiamo deciso di chiedere che il contratto venisse rescisso». Coincidenza: il tutto avviene qualche mese prima della convocazione dei carabinieri. «Il contratto era limitativo, c'erano clausole vessatorie», spiega ancora Alcaro, «e allora abbiamo preferito disdire e tutelare la nostra azienda».

    luca di donna luca di donna

     

    A quel punto, per gli investigatori che stavano lavorando sul metodo Di Donna, Alcaro si è trasformato in un importante testimone. Soprattutto perché sul contratto era segnata quella percentuale del 5 per cento che avrebbero incassato Di Donna & C., «inseriti di fatto», sostiene l'accusa, «all'interno della struttura di comando gerente gli affidamenti per l'emergenza Covid e la loro concreta possibilità di garantire ai privati affidamenti diretti e forniture dietro riconoscimento di compensi per la loro attività di intermediazione».

     

    luca di donna. luca di donna.

    I loro tabulati telefonici, infatti, hanno evidenziato contatti che gli inquirenti definiscono «frequentissimi» tra l'avvocato Esposito e Domenico Arcuri, in quel momento commissario straordinario per l'emergenza. Ma anche con alcuni dei componenti di Invitalia che sono entrati a far parte della struttura commissariale.

     

    E infatti è emerso che nel mese di giugno 2020 il commissario straordinario ha affidato con procedura negoziata e senza pubblicazione del bando una prima fornitura di 100.000 test molecolari per il Covid alla società Adaltis, per un importo di almeno 800.000 euro. Dai tabulati sono subito emersi i contatti tra i rappresentanti e i consulenti della Adaltis con gli avvocati della cricca. L'esame delle celle telefoniche, poi, ha permesso di riscontrare che il 14 maggio, data considerata centrale per l'affidamento, Marco Spadaccioli della Altis e gli avvocati Luca Di Donna, Valerio De Luca e Gianluca Esposito, hanno agganciato ponti ripetitori «che servono la zona in cui è ubicato lo studio di Esposito» a Roma.

    domenico arcuri domenico arcuri

     

    Il contratto con la Altis sarebbe stato firmato il giorno seguente, proprio nello studio di Esposito, «il quale», scrivono i pm, «poi effettivamente riceverà, per il tramite del collega Di Donna, parte delle rimesse conseguenti all'assegnazione delle commesse». In quel periodo Esposito e Di Donna hanno intrattenuto diverse comunicazioni con esponenti della struttura commissariale. E anche con Arcuri, 14 maggio compreso, giorno dell'incontro tra gli avvocati e la Adaltis.

     

    luca di donna 1 luca di donna 1

    Gli inquirenti ritengono «di elevato interesse i contatti», perché partono dal 5 maggio, ovvero poco prima dell'avvio di richiesta d'offerta per la Adaltis, e terminano il 15 maggio, proprio il giorno successivo all'incontro nello studio di Esposito. Le ulteriori fonti di prova? Il 27 giugno Di Donna manda una fattura alla Adaltis per 65.000 euro. Ma le commesse per Adaltis non sono finite. Ce n'è un'altra di dicembre 2020. La somma: 1.387.000 euro, sempre per i test molecolari. La struttura commissariale, a quel punto gestita dal generale Francesco Figliuolo, suo malgrado, ha saldato nel maggio scorso, in due tranche.

     

    domenico arcuri e i banchi monoposto domenico arcuri e i banchi monoposto

    Anche in questo caso, annotano i carabinieri, si svolge un incontro nello studio di Esposito. Il 26 maggio, quindi, parte il bonifico dalla Adaltis: 90.178 euro in favore di Di Donna che, a sua volta, bonifica a Esposito 38.064 euro. «Immediatamente dopo gli affidamenti», evidenziano i pm, «Di Donna, Esposito e De Luca hanno ricevuto dalla Adaltis bonifici che non trovano allo stato lecita spiegazione: l'interessamento e l'offerta dei propri servizi e delle proprie entrature per l'affidamento da parte del Commissario per l'emergenza Covid non si giustifica lecitamente, atteso che, anche in ragione della natura e della rapida tempistica delle procedure, non si ravvisa alcuna necessità di consulenze offerte dai legali». Gli avvocati, insomma, erano, secondo l'accusa, «intermediari necessari».

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