Letizia Tortello per “La Stampa”
TETIANA KHARKO CON IL FRATELLO
Sa che è vivo, «di sicuro è ferito». Vedere i suoi compagni arrivare mutilati, al più grande scambio di prigionieri della guerra, l'ha fatta piombare in un incubo: quello di non poter riabbracciare mai più suo fratello, il sergente Sergei Volyna.
Tetiana Kharko è una delle due persone che hanno assistito alla liberazione dei difensori dell'Azovstal: 144 per parte ucraina, lo stesso numero per parte russa. È la rappresentante dell'Associazione dei parenti dei combattenti di Mariupol. Li ha accolti a Zaporizhzha, pochi minuti dopo la scarcerazione, la scorsa settimana.
Ma dal 20 maggio, questa 30enne vive settimane di angoscia, nel silenzio totale che avvolge il destino del comandante della 36a Brigata dei marines, forse l'eroe più umanizzato della lunga e dolorosissima battaglia dell'acciaieria.
Quel volto con la barba, suo fratello, che tutto il mondo ha imparato a conoscere nei tanti appelli video dai social, in cui chiedeva aiuto. Per i comandanti Azov, i russi potrebbero prevedere la pena di morte, e quella scure potrebbe capitare anche al sergente Volyna. La stessa sorte la teme Katerina, la moglie del comandante del Reggimento Denis Prokopenko.
Sergei Volyna
Signora Kharko, ci racconta lo scambio dei prigionieri?
«Quasi ogni soldato che era dentro l'Azovstal era ferito. Loro chiamavano "feriti" quelli che non riuscivano ad alzarsi e non potevano prendere il fucile. Gli altri continuavano a combattere. Delle 144 persone liberate, 95 erano combattenti Azov e il 90 per cento di loro è arrivato mutilato: senza gambe, braccia, tanti di loro sono sordi o hanno perso la vista. Io ero presente all'accoglienza a Zaporizhzha, a mezz'ora dal luogo della trattativa, un lungo ponte su cui hanno scambiati i prigionieri. È stato molto pesante».
Come sono stati trasportati?
«Sono arrivati sulle ambulanze, una per ciascun prigioniero liberato. Allo scambio era presente solo la Croce Rossa ucraina e i rappresentanti delle due parti. Li hanno liberati nella zona grigia, ma non posso dire il nome della località per ragioni di sicurezza. Abbiamo avuto dieci minuti per salutarli. Non abbiamo chiesto loro se erano stati torturati, piangevamo tutti, anche se loro provavano a trattenere le lacrime».
TETIANA KHARKO
Erano dimagriti, segnati? Quali sono state le prime frasi che hanno pronunciato?
«È molto difficile trovare le parole per raccontare cosa ho visto. Forse non le hanno ancora inventate. Oltre alla menomazione fisica, erano grigi come se non fossero appartenuti a questo mondo. Sembravano dei fantasmi. Credo siano stati trattati molto male, nei giorni di permanenza in prigione. Era doloroso guardarli».
Ha parlato con loro?
«Sì. Uno mi ha riconosciuto e ha detto che mio fratello gli aveva salvato la vita. Poi è venuto fuori che le amputazioni risalgono al periodo dentro l'acciaieria. Ai feriti tagliavano gli arti senza anestesia, questo ci hanno raccontato».
Quand'è l'ultima volta che ha sentito suo fratello, il sergente Volyna?
«Il 20 maggio. Ci ha informato dell'evacuazione. Ci ha detto che da quel momento non avrebbe più comunicato perché si consegnavano ai russi».
REGGIMENTO AZOV
Comunicavate, mentre lui era nelle viscere dell'Azovstal?
«Scriveva più che altro a sua moglie. Per alcune settimane non si faceva vivo. Scriveva sempre le stesse parole: "normale", oppure "sono intero". Niente di più. Ma a noi bastava».
Quanti prigionieri dell'Azovstal mancano all'appello? Le trattative sono in piedi?
«Il presidente Zelensky aveva annunciato che erano 2000-2500 i soldati che si erano consegnati. Faremo di tutto per liberarli, le trattative sono appese a un filo, ma io sono fiduciosa che mio fratello tornerà. I russi stanno violando ogni giorno la Convenzione di Ginevra, non ci permettono di comunicare con loro. Non sappiamo neppure dove siano. Dicono a Olenivka, Rostov sul Don, Lufortovo, ma non abbiamo certezze. Non possono ucciderli o non rimandarli a casa. Però prego, perché ho molta paura».
acciaio rubato da azovstal 1
Chi era il sergente Volyna?
«Un viso sempre sorridente. Un padre e un marito modello. Aveva studiato all'Accademia nazionale delle forze di terra Hetman Petro Sahaidachnyi, era andato in Cimea, poi era tornato subito per difendere il Donbass, nel 2014. Prima della guerra, da settimane era a Mariupol. Viaggiava tanto, faceva sei mesi in Donbass e sei mesi a casa a Kiev. Sergei ama suo figlio, chissà quanto soffre a non vederlo».
Se ci fossero pressioni per trattare, voi di Azov accettereste di perdere il Donbass, che tanto avete difeso?
LA RESA DEL BATTAGLIONE AZOV
«Vi faccio un esempio per capire cosa ci sta capitando: questa guerra, per noi, è come se nella vostra casa entrasse una persona e prendesse una stanza e dicesse "è mia, se non me la dai uccido la tua famiglia". È una cosa assurda, ingiusta, inaccettabile. Per come la vedo io, la situazione si potrebbe definire con un referendum, dove la gente potesse decidere se vuole restare nella parte ucraina o diventare Russia. Ma senza armi, senza pressione. Con le armi non si può risolvere niente».
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