Estratto dell'articolo di Fabiana Magrì per “La Stampa”
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Stava ancora elaborando il trauma delle scene raccapriccianti viste il giorno prima al kibbutz Be'eri, quando Yossi Landau è entrato martedì mattina a Kfar Aza. Dietro la porta del Chadar Ochel (il refettorio) si è spalancato il peggiore degli incubi. Venti cadaveri di bambini, con le mani legate dietro la schiena, le dita mozzate e segni di svariate torture. Altri carbonizzati. […] «Li hanno torturati, uccisi e bruciati», sputa fuori tutto d'un fiato.
[…] a Be'eri e Kfar Aza Yossi ha visto «cose spaventose, che in 33 anni di servizio non ho mai visto. Mai in tutta la mia vita». La voce è esausta, mentre parla al telefono con La Stampa dalla sua casa di Ashdod, uno dei porti mercantili di Israele dove nella vita di tutti i giorni ha una ditta di shipping e spedizioni. «Negli ultimi cinque giorni ho dormito solo quattro ore. E non riesco a mangiare perché sento l'odore dei cadaveri sulla mia faccia».
strage kibbutz di kfar aza
I lunghi silenzi colmi di orrore mentre rievoca i ricordi di ieri e di oggi a Kfar Aza sono riempiti dai gridolini dei nipoti sullo sfondo. Yossi (55 anni) e sua moglie hanno messo al mondo 10 figli (che hanno tra i 14 e i 33 anni) e possono già vantare 22 nipoti. Che ancora ieri hanno fatto avanti e indietro dai rifugi al suono delle tante sirene per i razzi di Hamas in arrivo da Gaza.
«C'era una donna incinta, in una delle case in cui sono entrato. Giaceva sul pavimento. L'avevano accoltellata sulla pancia. Cose molto spaventose, hanno fatto». Quando Yossi e la sua squadra di 150 volontari sono entrati a Kfar Aza, i soldati avevano terminato di mettere in salvo i superstiti e stavano continuando a dare la caccia ai terroristi. Ancora ieri sera ne hanno scovati e neutralizzati due, vicino al kibbutz.
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Uno dei sopravvissuti è l'italo-israeliano Uzi Fazio, nato in Israele da padre padovano e madre genovese. Risponde al telefono da Shefayim, nel centro di Israele, dove l'esercito ha radunato le 150 persone salvate dall'assalto di Kfar Aza. Ha il «cuore rotto» ma è sollevato di poter «piangere uno con l'altro». Racconta che i militari hanno evacuato le villette, strada per strada. Vincendo il sospetto della gente asserragliata dentro, che temeva fosse una trappola dei terroristi.
[…] Racconta, Uzi, di una coppia di amici, marito e moglie, con cui erano soliti andare in vacanza insieme all'estero. «Sono stati non solo uccisi. Massacrati a tal punto che non è stato possibile riconoscerli. Ancora adesso i figlie e i nipoti sono in attesa dei risultati del Dna per avere la certezza della loro identità».
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Racconta anche di una coppia di trentenni con due figli, di 2 mesi e di 5 anni. Sono rimasti nel "mamad" (il rifugio) per 30 ore prima di poter essere salvati. I terroristi li hanno tenuti in assedio, hanno buttato una bomba per sfondare la stanza. Hanno dato fuoco alla casa per costringerli a uscire. La porta di sicurezza, di ferro, era diventata incandescente. Per lo stress, la madre non aveva più latte per allattare la neonata. Alla fine ce l'hanno fatta.
Da ieri sera l'incubo di Kfar Aza è un capitolo chiuso per i volontari di Zaka. Ma «ora - dice Yossi Landau - ci sono altri posti in cui dobbiamo andare».
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