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    I RITMI DI LAVORO TI AMMAZZANO, LETTERALMENTE - CHIUSA L'INDAGINE SULL'INCIDENTE IN CUI PERSE LA VITA A MODENA LAILA EL HARIM, OPERAIA QUARANTENNE DI ORIGINE MAROCCHINA RIMASTA INCASTRATA IN UNA FUSTELLATRICE: IL FONDATORE DELLA DITTA E IL NIPOTE SONO STATI ACCUSATI DI OMICIDIO COLPOSO, SECONDO LA CGIL LA MODIFICA APPORTATA AL MACCHINARIO ERA STATA FATTA "PER TRARRE MAGGIORE PROFITTO RISPARMIANDO SUI TEMPI DI LAVORAZIONE"


     
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    Franco Giubilei per "La Stampa"

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    Le inadempienze in fatto di sicurezza sul lavoro sono molte e, secondo la procura di Modena, hanno determinato la morte di Laila El Harim, l'operaia quarantenne di origine marocchina rimasta incastrata in una fustellatrice che l'ha ammazzata.

     

    Di qui l'avviso di fine indagine per il fondatore della ditta dove la donna è rimasta vittima dell'ennesimo incidente sul lavoro, l'86enne Fiano Setti, e per il delegato alla sicurezza, suo nipote Jacopo Setti.

     

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    Succedeva il 3 agosto dell'anno scorso alla Bombonette di Bomporto, azienda di packaging di Camposanto, nella Bassa modenese. L'operaia, madre di una bambina di sette anni e residente in Italia da venti, aveva cominciato a lavorarci un paio di mesi prima e sarebbe dovuta andare in ferie entro pochi giorni.

     

    Doveva anche sposarsi a breve, ma la sua vita è stata annientata da un macchinario che serve a piegare i cartoni per l'imballaggio di dolci. Era stato modificato rispetto al manuale di funzionamento e la donna, secondo gli inquirenti, non era stata formata al suo utilizzo.

     

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    La mancanza di protezioni adeguate ha creato le condizioni per l'incidente, arricchendo di un altro episodio drammatico un'estate funestata dalle morti bianche, come quella di Luana D'Orazio a Prato, avvenuta due mesi prima.

     

    I due responsabili della Bombonette destinatari degli avvisi di chiusura indagini, che normalmente preludono a richieste di rinvio a giudizio, sono indagati per omicidio colposo con l'aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche.

     

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    Contestate anche omissioni nella valutazione del rischio e nei requisiti di sicurezza. All'azienda intesa come soggetto giuridico viene associato il risparmio economico e di tempi di lavorazione derivati dai reati in oggetto.

     

    Il capitolo risarcimento dev'essere ancora aperto e l'entità del danno quantificata, ma per un caso come questo, di figlio che perde il genitore, le tabelle parlano di un tetto di 336 mila euro.

     

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    I familiari della vittima, assistiti da una società specializzata lo Studio3A-Valore di Modena, sono chiusi nel loro dolore e non commentano. Secondo quanto accertato dalla pm Maria Angela Sighicelli, sono stati installati nella macchina dei pareggiatori di gomma da regolare manualmente.

     

    Sono le componenti non previste dal manuale di cui si diceva, ed è anche la prima mancanza contestata all'azienda, ma non è l'unica: gli atti parlano dell'assenza di una protezione statica fissa. La Cgil trae le sue conclusioni: la modifica apportata al macchinario è stata fatta «per trarre maggiore profitto risparmiando sui tempi di lavorazione».

     

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    L'inchiesta ha ricostruito come Laila sia entrata nella fase di preavviamento della macchina proprio per regolare i pareggiatori, allo scopo di cambiare il formato di lavorazione.

     

    Il suo corpo è poi rimasto incastrato fra una «barra di pinza» e la barra fissa posteriore della macchina. Per gli inquirenti, gli indagati non hanno nemmeno valutato il rischio di contatto con organi in movimento durante l'uso delle macchine, compresa quella dell'infortunio mortale, a causa della mancanza della protezione, pur essendo «palese» il rischio di incidenti.

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    Poi ci sono le attrezzature non conformi ai requisiti di sicurezza, e il fatto che sarebbe stato consentito l'avvio del macchinario anche con l'operatore presente. Per Laila anche assenza totale della formazione, obbligatoria per legge, su salute e sicurezza.

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