1 - LA GIORNALISTA TV: "MISSILE SU TORINO"
Da “La Stampa”
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La reazione spropositata e massimamente aggressiva della Russia alla vittoria ucraina all'Eurovision è riassunta nel post su Twitter di una giornalista, Yuliya Vityazeva, che ha proposto di far esplodere la finale al Pala Olympic Arena di Torino con un missile. Ha scritto: «Bomba con un missile Satana».
Vityazeva è un volto tv, giornalista putiniana e conduttrice di un talk-show che va in onda su Russia-1, la televisione nazionale russa.
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In un articolo di opinione pubblicato sul sito web del quotidiano AiF di Mosca, l'editorialista Vladimir Polupanov ha definito lo spettacolo «noiosa televisione politicizzata» e «falso». Ha scritto che «la competizione ha un cattivo odore di palude in decomposizione» e ha affermato che «quasi nessuno dei vincitori ad eccezione degli Abba» è diventato «grande star».
Nel frattempo, immagini inquietanti pubblicate dai canali Telegram Pro-Cremlino mostravano l'hashtag Eurovision2022 scritto su una bomba insieme a riferimenti alla Kalush Orchestra. Sul palco, il frontman del gruppo, Oleg Psiuk, ha detto: «Chiedo a tutti voi, per favore, aiutate l'Ucraina, Mariupol. Aiutate l'Azovstal, in questo momento».
2 - SE L'EUROVISION BRUCIA PIÙ DEL FALLIMENTO SUL CAMPO
Anna Zafesova per “La Stampa”
le scritte provocatorie sulle bombe contro azovstal 3
«Help Mariupol, help Azovstal, right now»: l'appello della Kalush Orchestra nella serata finale del concorso dell'Eurovision è stato scritto sulle fiancate di missili e bombe da lanciare sull'acciaieria, con la postilla «Kalush, facciamo quello che avete chiesto». La foto con la «risposta dei russi» è stata postata da Vladimir Solovyov, uno dei più popolari e sguaiati propagandisti putiniani.
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Anche altri commentatori chiedono di «vendicare» la vittoria ucraina, e la giornalista nazionalista Yulia Vityazeva scrive ai suoi centomila follower su Telegram «non resta che colpire l'Eurovision con un missile atomico Satana» (dopo essere finita sui siti di notizie internazionali, ora sostiene di aver scherzato, ma in altri post propone di bombardare Kiev).
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Perfino la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha reagito alla vittoria dei Kalush Orchestra, prendendo in giro i «costumi nazionali di due streghe con chitarre e breakdance».
L'Eurovision è un affare politico, o almeno lo è sempre stato per la Russia, che per anni ha visto come missione di Stato quella di conquistare la vittoria al concorso.
Un'ansia alimentata anche dalla gelosia verso gli ucraini, che avevano vinto nel 2004 - l'anno della «rivoluzione arancione» a Kiev - con Ruslana e nel 2016 con Dzhamala, una tartara della Crimea che ha cantato la deportazione del suo popolo.
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Anno dopo anno, Mosca ha inviato sul palcoscenico europeo le star più acclamate, e investito risorse mediatiche cospicue, tutto in cambio di una sola vittoria, nel 2008, a firma di Dima Bilan. Lo show business russo faticava a trovare un format azzeccato, al contrario della folk-pop-dance ormai marchio di fabbrica della musica ucraina.
Per i commentatori russi però rimaneva sempre il sospetto di un complotto politico. Il popolarissimo cantante ucraino Andrey Danilko - un russofono di Luhansk che si traveste da personaggio comico femminile di Verka Serdiuchka - ha raccontato di essere stato messo nella lista nera del Cremlino dopo aver preso il secondo posto all'Eurovision 2008, con una canzone nella quale, secondo i critici russi, era stata criptata la frase «Russia Goodbye».
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Danilko ha ora condannato la guerra ed è finito nella lista dei musicisti, blogger e attori ucraini ai quali la Russia ha vietato l'ingresso per i prossimi cinquant'anni: «Peccato, non potrò godermi i funerali di Putin», è stato il suo commento.
La guerra ha reso la Russia una reietta nei concorsi internazionali, e quello che era un senso di frustrazione e gelosia ora è diventato rabbia e odio. I propagandisti russi - il concorso ovviamente non è stato trasmesso ufficialmente dalla televisione di Stato - hanno sostenuto che i concorrenti ucraini sono stati salutati da una delle conduttrici polacche con il saluto nazista, e si sono scagliati contro il «baraccone europeo» e la «gayvisione».
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Le battute sui «depravati europei», inclusi i «fr... italiani», si sono sprecate, non soltanto a livello di chat private, ma anche da parte di molti personaggi con uno status ufficiale. Il vicepresidente della Duma Boris Chernyshov, per esempio, ha accusato il concorso di essere «truccato dalla politica e dai bot di Internet», denunciando la cancel culture occidentale che «premia gli idioti» e sostenendo che gli ucraini siano «i nuovi Black Lives Matters».
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In Russia il BLM è un insulto, e il fenomeno della battaglia per i diritti degli afroamericani è considerato una delle prove del decadimento definitivo dell'Occidente una volta preso a modello. «In questa cultura fake, gli americani e gli europei presto dovranno inginocchiarsi di fronte agli ucraini», scrive la popolarissima anchorwoman Tina Kandelaki.
Allusioni alle presunte «inferiorità» razziali o sessuali, che non fanno che approfondire l'abisso che separa oggi la Russia dall'Europa, e che solo pochi commentatori - prevalentemente dell'intellighenzia ormai in esilio - ritengono drammatico.
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«La Russia non aveva nulla da fare all'Eurovision», scrive la critica Elena Rykovzeva, notando che la furia contro un'Europa che apre le braccia agli ucraini massacrati sia quasi liberatoria per quella parte dell'anima russa da sempre convinta di essere odiata dall'Occidente.
La vittoria musicale dei Kalush Orchestra si fonde in questa visione con la Finlandia e la Svezia che "tradiscono" il vicinato neutrale con la Russia per farsi proteggere dalla Nato.
È quella faccia dell'orgoglio nazionale che Emmanuel Macron si preoccupa di "salvare", temendo che un putinismo che si sente rifiutato - indipendentemente dalle proprie colpe - possa sognare una vendetta nucleare perfino contro il palco musicale di Torino. Ma intanto il produttore Igor Prigozhin propone di consolarsi con un concorso canoro autoctono, dove le regole le detta Mosca, una Eurovision senza più l'Europa.