1 - SCONTRO NEI 5 STELLE SU DI MAIO «UN DIRETTORIO AL POSTO DEL CAPO»
grillo fico di maio
Alessandro Trocino per il “Corriere della sera”
Aveva appena varcato i confini del suolo patrio, Luigi Di Maio, quando contro di lui è cominciato un bombardamento fittissimo e inedito. Una rivolta in piena regola di un gruppo di senatori, che unisce molti dei big di vecchio conio, umiliati e offesi per il nuovo corso governativo e per un ricambio mai giustificato né lenito da scuse o altri rimedi. In prima fila nei tumulti, Nicola Morra, Danilo Toninelli e Mario Giarrusso, anche se tra i fortemente scontenti ci sono anche Giulia Grillo e Barbara Lezzi.
nicola morra
Il vulcanico senatore siciliano è il più violento nello sparare contro Di Maio. Ma è Emanuele Dessì che propone un comitato a dieci, con i capigruppo e Beppe Grillo e raccoglie 70 firme (su 107) per indire un' assemblea che modifichi il regolamento e attribuisca alla stessa la possibilità di modificare lo Statuto (possibilità ora che è solo del capo politico).
La riunione viene convocata per discutere dei nuovi capigruppo. Alla fine per la Camera si candidano Anna Macina (spalleggiata da Sergio Battelli), Francesco Silvestri (con il dissidente Riccardo Ricciardi) e altri nove deputati Cinque Stelle. Al Senato si decide di prorogare. Ma l'assemblea è il pretesto per una jacquerie contro Di Maio. Nicola Morra, presidente dell' Antimafia, rilancia una sua vecchia idea: quella di una modifica dello statuto per allargare la leadership.
barbara lezzi
Una bomba che viene raccolta e rilanciata da molti. Primo Di Nicola spiega: «Le nostre regole ormai stridono fortemente con i principi della democrazia che rivendichiamo. Di Maio non è il problema, anzi non è mai stato accentratore né autoritario, ma io credo che non sia accettabile che le cariche più alte non siano elettive. È arrivato il momento che Grillo e Casaleggio facciano un atto di generosità e regalino il Movimento al Movimento».
Liberalità che, al momento, non sembra affatto in programma.
Per questo Giarrusso prende il toro per le corna e rilancia l'idea di sostituire il capo politico con un comitato a dieci. Una sorta di comitato centrale. Il senatore chiede un passo indietro di Di Maio e avverte: «Stanno svendendo i principi del Movimento». Poi se la prende con Danilo Toninelli, a dimostrazione che il fronte dei rivoltosi non è compatto: «Toninelli deve raccontarci per filo e per segno come mai abbiamo mandato a quel paese 6 milioni di elettori. Non abbiamo bisogno di ulteriori ambiguità».
Grillo e Di Maio
Segnale che la candidatura di Toninelli viene letta da alcuni come un compromesso con i vertici. Sono in diversi a chiedere che Di Maio lasci gli incarichi: «Se sta alla Farnesina come si può occupare del Movimento?»; «Che fine hanno fatto i facilitatori?». Qualcuno chiede che Grillo arrivi a Roma e salvi «la patria».
In Senato cova un astio che è cresciuto nelle ultime settimane e che ha fatto parlare di una scissione possibile. Per ora è difficile che avvenga, ma intanto si segnala una Lezzi attivissima, che convoca una riunione al giorno e fa da sponda con Alessandro Di Battista, il convitato di pietra dell' assemblea. Interviene anche Stefano Lucidi, critico sull' Umbria: «Tra poco votiamo e non sappiamo nulla, non c' è uno straccio di programma, come si fa?». Ma ci sono anche senatori a difesa di Di Maio, come Mauro Coltorti, Sergio Vaccaro e Marco Croatti. Conclude Morra: «Nessuna lite, solo un esercizio di democrazia».
Quella che, per ora, pare mancare del tutto nel Movimento.
grillo di maio casaleggio
2 - GRILLO LO LASCIA SOLO POST, SILENZI E BATTUTE INDEBOLISCONO LA SUA LEADERSHIP
Marco Imarisio per il “Corriere della sera”
Anche l'inizio non fu dei migliori. «Vi presento un aspirante deputatino...» Era il 25 gennaio del 2013, mancava un mese alle elezioni politiche che avrebbero cambiato per sempre M5S, e sul palco di Pomigliano d'Arco tirava un vento gelido. Beppe Grillo non aveva mai visto Luigi Di Maio prima d'allora.
MARIO MICHELE GIARRUSSO
Mentre ascoltava la sobria presentazione del candidato locale fatta dai responsabili del meet up, «ha solo 26 anni ma l'acume dei saggi...», squadrava divertito quel giovane impettito e formale. Con i suoi completi impiegatizi e i modi da notabile, era ben diverso dai «suoi» ragazzi scapigliati, come l'eretico Giovanni Favia, la sua prima passione, fino ai nuovi Roberto Fico e Alessandro Di Battista, simili tra loro per affinità più esistenzial-stilistiche che politiche.
Quella diffidenza ancestrale, di natura quasi antropologica, non è mai sparita del tutto. L'incoronazione a comandante del Movimento avvenuta nell'autunno del 2017 a Rimini fu una fusione a freddo. Sul palco Grillo, che aveva annunciato il suo ritiro a vita privata, si sfiorò soltanto con «un certo Luigi Di Maio», così lo introdusse alla folla che applaudiva solo lui.
beppe grillo no tav
Quel passaggio di consegne senza entusiasmo era conseguenza delle tensioni di un anno terribile, segnato prima dalla rottura tra l' ex comico e Gianroberto Casaleggio e poi dalla morte di quest' ultimo. A prendere il potere furono il figlio Davide e la sua longa manus, l'ex aspirante deputatino che in meno di quattro anni aveva scalato i Cinque Stelle. Adesso che le poche affinità e le molte divergenze tra il compagno Beppe e il destrorso Luigi si manifestano con cadenza pressoché quotidiana, è bene ricordarli, certi episodi.
Perché il passato conta, e torna sempre. Anche in un movimento che ha dimostrato una incredibile capacità di azzerare tutto. Altrimenti non si capisce perché, come avvenuto due giorni fa, se l'attuale ministro degli Esteri dice nero opponendosi a nuove tasse su merendine e biglietti aerei, l'Elevato risponde quasi sempre bianco, postando sul suo blog una ricerca che dimostra quanto inquinino i velivoli commerciali.
davide casaleggio luigi di maio
Non è figlio suo, non lo è mai stato. Certo, ci sono stati i momenti buoni, le foto opportunity, i reciproci elogi di stampo bolscevico. E Di Maio ci ha anche provato, a simulare empatia tra leader troppo diversi tra loro per piacersi davvero. Se non ci è riuscito, la colpa non è neppure sua. L'oscillazione tra destra e sinistra, tra abbracci e freddezza, tra movimentismo e governismo, risale alle differenze e alla sintesi mai trovata tra i due fondatori. Di Maio vs Grillo è solo la continuazione con altro nome di quell'ambiguità di fondo, che al tempo stesso rappresenta la forza e la debolezza di M5S.
grillo di maio
Non è un gioco delle parti, e sta diventando un gioco pericoloso per l'ex delfino. La casella di partenza è stata la furibonda litigata tra Grillo e la coppia Davide Casaleggio-Di Maio, avvenuta all'Hotel Forum la sera prima della presentazione del simbolo di M5S per le elezioni politiche del 2018. Subito dopo, Grillo se ne uscì con un curioso paragone tra il Movimento e i panda, adorabili mammiferi capaci però di nutrirsi dei resti di altri animali. Era il suo modo di anticipare la strategia delle alleanze e di rimarcare il proprio dissenso per quel che sarebbe poi accaduto.
di maio grillo casaleggio
Grillo è sempre stato contrario al matrimonio di interessi con la Lega. Da allora, dopo una breve tregua, ogni giorno ha la sua pena per Luigi Di Maio. La consultazione online sul caso Diciotti è qualcosa «a metà tra il comma 22 e la sindrome di Procuste», una frase irridente. Due giorni dopo, viene trattato come un bambino. «Con Di Maio bisogna avere un po' di pazienza» dice Grillo. Poi arriva la batosta delle Europee, Matteo Salvini che vola nelle urne e nei sondaggi, e infine la trattativa per il nuovo governo, inaugurata da un «Luigi dovrebbe prendersi una vacanza...», nella quale il recalcitrante Di Maio viene guidato a suon di schiaffoni sul blog.
giuseppe conte luigi di maio
Il 27 agosto, quando cancella l'incontro previsto con il Pd per via dei dubbi democratici su Giuseppe Conte, Grillo tuona con un post che all' interno di M5S viene letto una violenta reprimenda nei suoi confronti. «Dio mi ha detto, lasciali alla loro Babele». Gli errori commessi da Di Maio sono sotto gli occhi di tutti. Ma niente avviene mai per caso. Neppure le rivolte interne. E senza la strategia della goccia cinese operata da Grillo non esisterebbe la mozione dei senatori che mira a ridimensionare il ruolo dell' attuale capo politico. Pare che i panda genovesi abbiano denti molto aguzzi.