Vittorio Malagutti per ''L’Espresso''
No pasaran. Arroccati su una linea difensiva che da Brescia e Bergamo si estende a Ovest fino a Cuneo e poi verso Verona in direzione Est, i grandi azionisti di Ubi Banca non ne vogliono sapere di cedere il passo a Intesa. A febbraio il campione nazionale del credito ha lanciato un' offerta pubblica in Borsa per comprare l' istituto concorrente, terzo nella graduatoria italiana del settore.
giandomenico genta victor massiah
Il blitz partito da Milano si è però ben presto trasformato in una partita a scacchi dall' esito al momento imprevedibile, scandita da esposti in tribunale, ricorsi alla Consob e indagini dell' Antitrust, che ha già espresso perplessità sull' operazione. Intesa offre in pagamento azioni proprie con un premio pari al 28 per cento della quotazione corrente di Ubi. «Niente da fare», replicano i soci di comando della banca sotto assedio che giudicano il prezzo inadeguato rispetto alle prospettive di crescita del titolo nel futuro prossimo.
Questione di soldi, insomma, ma non solo. L' istituto con base a Bergamo adesso è governato da tre patti di sindacato che si spartiscono quasi il 30 per cento del capitale. Se però la fusione andasse in porto, una schiera di investitori e manager che ora hanno voce in capitolo nella gestione di Ubi dovrebbe accontentarsi, nella migliore delle ipotesi, di uno strapuntino in seconda fila sul ponte di comando di Intesa, sette volte più grande, come attivo di bilancio, della banca che vorrebbe acquisire.
Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ad, e Giovanni Bazoli, presidente onorario
E così, il nucleo storico di azionisti che nei mesi scorsi era sembrato sul punto di spaccarsi, si è infine ricompattato nel nome dell' interesse comune, la difesa di poltrone e potere. Accanto a un folto gruppo di imprenditori che comprende tra gli altri Alberto Bombassei, i Beretta (quelli delle armi) e la famiglia Radici, troviamo schierate anche due fondazioni bancarie, enti non profit a gestione privatistica che hanno però una finalità pubblica: finanziare iniziative benefiche, sociali e culturali utilizzando i proventi della gestione del proprio patrimonio. C' è la pavese Banca del Monte di Lombardia con il 3,9 per cento, ma la quota più importante a libro soci - il 5,9 per cento - fa capo alla Cassa di Cuneo.
Ai primi di febbraio, il presidente dell' ente piemontese, il commercialista Giandomenico Genta, si lamentava dell' esiguità del dividendo offerto da Ubi, definito «insoddisfacente per le nostre aspettative di remunerazione». La delusione non ha però impedito a Genta di rispedire al mittente la fusione proposta da Intesa. Eppure negli ultimi anni la banca guidata dall' amministratore delegato Carlo Messina ha garantito ai suoi azionisti un rendimento, in termini di cedola, più che doppio rispetto quello dell' istituto orobico.
Va detto che tra Cuneo e Bergamo il denaro viaggia in entrambi i sensi. Conti alla mano, si scopre per esempio che nel 2019 la fondazione presieduta da Genta ha sborsato in totale 12,4 milioni per acquistare tre immobili messi in vendita da Ubi.
La Cassa di Cuneo ha quindi restituito con gli interessi gli 8 milioni di dividendi ricevuti l' anno scorso dalla banca bergamasca. Quest' ultima non ha realizzato alcun profitto, visto che il prezzo fissato per la compravendita è pari al valore d' iscrizione di queste tre proprietà nei conti 2018 di Ubi. Gli immobili passati di mano, due palazzi nel centro di Cuneo e una vigna ai piedi del castello di Grinzane Cavour, sarebbero stati acquisiti, spiegano dalla fondazione, «per valorizzare a beneficio della comunità spazi attualmente non utilizzati o a rischio di degrado».
GIANDOMENICO GENTA
A fine marzo, Genta ha presentato un bilancio descritto come «il migliore da 11 anni», ma nel 2020 sarà difficile ripetere l' exploit. Diminuiranno, per esempio, i dividendi degli investimenti in azioni, che l' anno scorso avevano portato 55 milioni nelle casse dell' ente, mentre sul portafoglio titoli continuano a pesare i ribassi di Borsa degli ultimi mesi. Un caso su tutti: tra il 2016 e il 2017 la fondazione piemontese ha puntato circa 50 milioni su Atlantia, la holding dei Benetton che controlla Autostrade per l' Italia.
Ai prezzi di questi giorni quel pacchetto azionario si è svalutato del 30 per cento. Colpa del crollo del ponte Morandi a Genova e poi dell' incertezza sul rinnovo della concessione da parte del governo. Una rimonta è sempre possibile, ma intanto Atlantia ha già cancellato il dividendo, che per la fondazione valeva almeno un paio di milioni di introiti.
I guai dei Benetton erano impossibili da prevedere quattro anni fa. Molti però a Cuneo ricordano che la scelta di investire nei titoli della holding autostradale nel recente passato era già stata al centro di polemiche per via di un presunto conflitto d' interessi di Genta, che fin dal 2004 siede nel collegio sindacale di Autostrade per l' Italia, di cui è tuttora presidente. Nel settembre del 2018, un paio di settimane dopo il crollo del viadotto di Genova, la vicenda finì anche in Parlamento con un' interrogazione della Cinque stelle Fabiana Dadone, ora ministro della Pubblica Amministrazione. La deputata cuneese chiedeva al governo di esprimersi sull' opportunità del doppio incarico di Genta.
Massiah e Bazoli
Conflitto d' interessi a parte, lo scivolone borsistico su Atlantia adesso si somma alla questione Ubi, che vale all' incirca la metà del portafoglio azionario della ex Cassa di Cuneo. L' investimento nei titoli della banca di Bergamo, iscritto in bilancio per 253 milioni, al momento viaggia in perdita di una cinquantina di milioni e anche i dividendi attesi per questa primavera, circa 8,7 milioni, sono stati rimandati al prossimo autunno.
Genta però tira diritto e nei giorni scorsi ha messo sul piatto altri otto milioni per rastrellare in Borsa opzioni sui titoli Ubi. È un' operazione rischiosa, con perdite potenziali fino a un paio di milioni. L' ente però ha replicato alle critiche ricordando che gli acquisti, affidati alla società di gestione Fondaco, erano stati preventivamente autorizzati dal ministero dell' Economia, a cui spetta la vigilanza sulle fondazione bancarie.
La partita è più che mai aperta e mentre l' offerta di Intesa resta appesa al verdetto del tribunale e al via libera dell' Antitrust, sull' altro fronte i difensori alzano le barricate e non badano a spese. Da Verona è arrivato il pronto soccorso della Cattolica assicurazioni che ha speso almeno una quindicina di milioni per raddoppiare dallo 0,5 all' 1 per cento la sua quota nel capitale Ubi. Per intuire i motivi di quest' ultima operazione basta dare un' occhiata al libro soci di Cattolica, che è una cooperativa quotata in Borsa. Al secondo posto, con una quota del 3,1 per cento, troviamo la Banca del Monte di Lombardia, la stessa fondazione con sede a Pavia che è schierata in prima fila nel fronte anti Intesa a Bergamo.
MASSIAH LETIZIA MORATTI
Mario Cera, l' avvocato che disegna le strategie dell' ente pavese, fino all' anno scorso era anche vicepresidente di Ubi ed è ancora un ascoltato consulente di Cattolica assicurazioni. Lo stesso Cera figura tra gli imputati nel processo in corso a Bergamo per ostacolo alla vigilanza della Banca d' Italia. Un processo che coinvolge buona parte del vecchio gruppo dirigente di Ubi compreso l' ottuagenario banchiere Giovanni Bazoli, padre nobile dell' istituto orobico nonché ex presidente di Intesa.
Tutti sono accusati di aver organizzato e gestito un patto di sindacato occulto che legava le due anime della banca, quella bresciana e quella bergamasca.
Con l' assemblea del 2019, i consiglieri coinvolti nel procedimento sono usciti dal board di Ubi, con l' eccezione dell' amministratore delegato, Victor Massiah, ancora al suo posto. Fin qui gli intrecci del passato, che aiutano a far luce sui fatti di questi giorni. Il nucleo storico dei soci si è rafforzato strada facendo grazie ai capitali messi a disposizione dalle fondazioni di Cuneo e di Pavia.
giandomenico genta
L' alleanza però al momento appare fondata sulle perdite. Nel bilancio 2019, Cattolica ha già dovuto svalutare la partecipazione in Ubi di 3,3 milioni, su 25 milioni investiti. E le nuove azioni sono state acquistate proprio mentre la compagnia finiva sotto la lente dell' Ivass, l' authority di controllo sulle assicurazioni.
Il primo giugno scorso l' istituto di Vigilanza ha segnalato, si legge nelle carte, una «situazione di solvibilità indebolita» del gruppo veronese. In altre parole i parametri patrimoniali sono finiti sotto il livello di guardia e Cattolica deve varare al più presto un aumento di capitale di 500 milioni. Per dare un' idea della situazione, basti ricordare che l' entità della manovra vale i due terzi dell' intera capitalizzazione di Borsa della compagnia, che si aggira intorno ai 700 milioni. Non è esattamente il momento migliore per investire risorse preziose nella battaglia per il controllo di Ubi.
C' è di più: su Verona, come detto, è esposta anche la Banca del Monte di Lombardia. Per effetto dei recenti forti ribassi, il pacchetto di azioni Cattolica in portafoglio alla fondazione si è di molto svalutato, almeno per una ventina di milioni dall' inizio dell' emergenza Covid. Nelle prossime settimane, come imposto dall' Ivass, la compagnia batterà cassa tra i soci per riportare in equilibrio i conti e a questo punto non è affatto sicuro che Pavia, chiamata a sborsare circa 15 milioni, risponderà all' appello. Sul portafoglio dell' ente, infatti, pesa anche la caduta dei titoli Ubi. Altre perdite in vista, quindi. Chissà se a questo punto, tra Pavia e Cuneo, qualcuno si sta chiedendo se davvero conviene continuare la battaglia contro Intesa.
CATTOLICA ASSICURAZIONE