Giacomo Amadori per “La Verità”
PAOLO STORARI
Le incontenibili dichiarazioni, che appaiono sempre meno credibili, del faccendiere Piero Amara hanno mandato in tilt il gotha della magistratura italiana. L'avvocato siracusano per un mesetto, tra dicembre 2019 e gennaio 2020, ha riempito con le sue confessioni sulla fantomatica loggia Ungheria sei verbali della Procura di Milano. I suoi resoconti hanno prima creato un cortocircuito tra i magistrati meneghini, tanto che il pm Paolo Storari a causa della presunta «inerzia investigativa» attuata dai suoi superiori, decise di consegnare sottobanco i verbali di Amara all'allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo.
piercamillo davigo
Quest' ultimo con quelle carte in mano ha iniziato a rendere partecipi molti colleghi del contenuto di quei verbali riservati e a spingere per un'accelerazione delle indagini. Il telefono senza fili è arrivato, attraverso il vicepresidente del Csm David Ermini su su sino al Quirinale.
E mentre Davigo diffondeva il verbo di Amara, molte toghe venivano inzaccherate da quelle propalazioni tanto da rendere necessaria una riunione informale del Csm con uno degli «accusati», il consigliere Sebastiano Ardita, sottoposto a una specie di surreale processo basato sul nulla.
Ma dopo che gli inquirenti milanesi avevano dato credito ad Amara e avevano sottoposto le sue chiacchiere all'attenzione della Procura di Brescia nel tentativo di disarcionare il presidente della Corte che stava giudicando i vertici dell'Eni, quell'arma non convenzionale si è rivoltata contro chi l'aveva maneggiata forse con troppa disinvoltura. E così sono andati a processo per rivelazione di segreto Davigo e Storari, mentre chi aveva cercato di usare Amara contro l'Eni è finito sotto accusa per rifiuto di atti d'ufficio, come il procuratore aggiunto Fabio de Pasquale.
PIERO AMARA
Nel frattempo Amara e altri suoi sodali sono stati iscritti per calunnia. È di queste ore l'avviso di chiusura delle indagini per le accuse rivolte all'ex consigliere del Csm Marco Mancinetti, uno dei colleghi di cui Davigo sembrava particolarmente ansioso di conoscere le magagne.
Ma il vero duello da mezzogiorno di fuoco è stato quello tra l'ex procuratore di Milano Francesco Greco, prosciolto dalle accuse di omissione di atti d'ufficio, e un altro pezzo da 90 della magistratura, il compagno di corrente (sono entrambi di Magistratura democratica) Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione, una delle toghe che fanno parte del ristrettissimo comitato di presidenza del Csm. Gli occhi, le orecchie e la voce del Quirinale a Palazzo dei marescialli.Salvi ha assicurato ai pm di aver contribuito, sollecitando Greco, alle iscrizioni di Amara & C. nel procedimento milanese per la violazione della legge sulle associazioni segrete.
cerimonia di commiato per francesco greco 6
L'ex procuratore meneghino ha negato tutto. Il Pg ha raccontato quello che fece dopo aver parlato con Davigo: «Chiamai al telefono il procuratore Greco per avere da lui chiarimenti su quello che stava accadendo.
Greco, sia al telefono sia in un incontro successivo avvenuto presso il mio ufficio il 16 giugno 2020, mi spiegò che in realtà non vi era stata da parte loro alcuna inerzia e che anzi le indagini erano proseguite, sia pure rallentate dal lockdown».
giovanni salvi
A questo punto i magistrati di Brescia chiedono se la prima telefonata a Greco si collochi temporalmente tra l'incontro con Davigo del 4 maggio e le iscrizioni di Amara & C. del 12 maggio. Salvi risponde che «è verosimile», lasciando intendere di aver favorito quell'atto investigativo.
Quando gli inquirenti hanno insistito e gli hanno domandato se avesse stimolato le iscrizioni, il Pg ha replicato: «A me interessava in particolare che il procedimento seguisse alacremente il suo corso e ricordo di avere più che altro sollecitato che le indagini venissero condotte con un certo ritmo. Abbiamo parlato delle iscrizioni e Greco mi ha risposto nei termini sopra riportati; io mi sono tranquillizzato nel momento in cui mi ha detto che le indagini comunque non erano ferme».
PAOLO STORARI
La versione di Greco è del tutto diversa e nella sua memoria c'è un capitolo dedicato proprio alla «questione Salvi». Dove si legge: «Sia nella eventuale telefonata [] sia nell'incontro del 16 giugno Salvi non mi ha mai parlato di Davigo e di Storari né tantomeno di contrasti o indagini».
Al contrario il Pg aveva affermato: «È possibile che abbia fatto riferimento a Davigo come fonte delle mie informazioni, ma non ne sono sicuro».Secondo Greco, il collega era interessato più che a dare un'accelerata all'inchiesta, «ad avere ulteriori documenti su Mancinetti» e per questo aveva affermato «genericamente che circolava voce di una indagine delicata che stavamo conducendo a Milano su diversi magistrati».
giuseppe cascini luca palamara
Lo stesso Greco si sarebbe impegnato «a mandare quello che avevano» sul consigliere. Alla fine della memoria l'ex procuratore di Milano si sfoga: «Purtroppo, siamo stati vittime di uno sconcertante episodio di inquinamento probatorio che ha sicuramente danneggiato ben due delicatissime indagini».A Brescia, di fronte al collega Prete, vedendo tra le fonti di prova contro di lui proprio le dichiarazioni del Pg, Greco ha rincarato la dose: «Ho letto questa cosa sul capo d'imputazione, ma e totalmente infondata e ripeto se Salvi ha detto il contrario... se ha detto che mi ha chiesto di accelerare l'indagine, di fare le iscrizioni, che Davigo compulsava o Storari si lamentava se ne assumerà la responsabilità».
piercamillo davigo ospite da giovanni floris 6
Il procuratore Prete, durante le indagini, ha convocato come testimoni coloro i quali erano stati informati dell'esistenza dei verbali sulla loggia o, addirittura, li avevano visionati. Il consigliere Giuseppe Cascini ha ricordato come ne fu informato: «La prima volta che me ne parlo, mi chiese quale fosse la mia opinione su Amara, avendolo io indagato quando ero alla Procura di Roma.
In pratica, voleva la mia opinione sull'attendibilità del dichiarante». Era come se Davigo stesse effettuando delle indagini parallele. Per Cascini le accuse del faccendiere erano più o meno carta straccia, anche se in passato aveva ritenuto che «difficilmente diceva cose non vere o non verificabili»: «Quando poi ho letto i verbali, mi sono stupito perché ho ritrovato dichiarazioni che non rispecchiavano la persona che io ricordavo nelle mie indagini.
giuseppe cascini 1
Avevo infatti tratto l'impressione che fornisse elementi generici e un po' enfatizzati che non corrispondevano a questa mia valutazione sul personaggio». E Davigo riteneva fondate le accuse di Amara? «Devo dire di aver tratto l'impressione che egli credesse a quelle dichiarazioni». Cascini ha anche ammesso di aver sùbito compreso, vedendo le copie dei verbali, che «si trattava di materiale riservato».
E ha aggiunto: «Poiché Davigo mi aveva chiesto un'opinione sul da farsi, ricordo di avergli detto che, trattandosi di materiale informale, ricevuto per vie non ufficiali, noi non avremmo potuto farci nulla». Come detto, Davigo era particolarmente interessato alla posizione di possibile affiliato della loggia dell'allora compagno di corrente Ardita. Peccato che, a giudicare dalle parole del consigliere Nino Di Matteo, fosse in conflitto di interessi.
francesco greco e piercamillo davigo
L'ex pm palermitano ha, infatti, riferito a Brescia quanto accaduto appena un mese e mezzo prima della diffusione dei verbali, in occasione dell'elezione del procuratore di Roma Michele Prestipino. Di Matteo e Ardita erano contrari a quella candidatura. Il primo però non era organico alla corrente di Autonomia e indipendenza, il secondo sì.
Appartenenza che espose Ardita alla furia di Davigo: «Nel corso della riunione, quando io e Ardita confermammo che non avremmo votato per Prestipino, Davigo alzo la voce in maniera molto decisa contro Ardita [] si scaglio violentemente contro [] ebbe una reazione furibonda e con un tono di voce alterato disse chiaramente ad Ardita, ripetendolo più volte, che se avesse votato per Creazzo "sarebbe stato automaticamente fuori dal gruppo"». Secondo Di Matteo gridò anche: «Tu mi nascondi qualcosa».
david ermini giovanni salvi
Un'accusa che, accompagnata ai «toni rabbiosi», ha portato il sostituto procuratore della Trattativa Stato-mafia a sospettare che, già a fine febbraio del 2020, Davigo «potesse essere stato messo a conoscenza di quanto dichiarato dall'avvocato Amara».
Piercamillo a Brescia ha raccontato di aver avvicinato, con i suoi verbali sotto braccio, anche il vicepresidente del Csm: «lo ho pensato a lungo se potevo fidarmi di Ermini, ma ho concluso di poterlo fare». Il motivo? In un'intercettazione di Palamara & C. era stato indicato come «"morto" per essersi rifiutato di assecondare una qualche richiesta che gli era stata formulata».
Ecco così che Davigo ha portato all'ex parlamentare Pd una copia degli atti milanesi e l'avvocato toscano li avrebbe schivati, come in una partita di palla avvelenata: «Ero molto in difficoltà e non avevo alcuna voglia di leggere quelle carte perché consegnate in modo irricevibile e totalmente inutilizzabile []. Appena uscito Davigo, presi la cartellina che mi aveva lasciato sul tavolo e, per i motivi sopra indicati [] la cestinai. Voglio sottolineare che io quei verbali non li ho mai voluti leggere e li buttai nel cestino senza aver preso conoscenza del loro contenuto».
piercamillo davigo al tg2 3
Anche al consigliere Giuseppe Marra era stata affidata una copia delle dichiarazioni: «Davigo mi disse: "Ti ho lasciato i verbali sulla scrivania", senza aggiungere altro. Quando tornai in ufficio, trovai una cartellina contenente i verbali di Amara. [] Dopo qualche settimana li ho strappati».
Pure la collega Ilaria Pepe si era tirata indietro: «Perché non ho voluto leggere i verbali? Mi sentivo coinvolta in qualcosa di più grande di me». Qualcosa di cui al Csm si parlava in modo carbonaro.Come ha specificato Marra e non solo lui: «Preciso che al telefono con Davigo non si poteva parlare di questa vicenda». E anche quando i due andarono a pranzo in un chioschetto a pochi metri dal Csm ebbero «l'accortezza di lasciare i cellulari in ufficio di modo da avere un dialogo piu libero». Pure Cascini ha spiegato di essere stato invitato «a parlarne in cortile e senza telefoni».
piercamillo davigo al tg2 2
Ermini ha raccontato lo stesso film e cioè che Piercamillo gli aveva chiesto di conferire «riservatamente», «lasciando i telefoni in stanza proprio perché la questione era molto delicata».
Davigo ha confermato di averlo fatto perché temeva «intercettazioni illegali». Non è chiaro da parte di chi. Greco alla fine della sua memoria ha scritto: «Non ho contezza di denunzie nel rispetto dell'articolo 331 del codice di procedura penale (quello che obbliga il pubblico ufficiale a denunciare le notizie di reato, ndr) da parte di coloro che hanno visto i verbali». Come dire: nessuno ha riferito all'autorità giudiziaria di aver visto Davigo mettere in piazza documenti coperti da segreto.
david ermini
Gran parte dei consiglieri si è difesa dall'accusa sostenendo che Storari fosse autorizzato da una vecchia circolare a riferire ai consiglieri del Csm notizie di indagini su magistrati anche in fase istruttoria.
Ma il procuratore di Brescia Prete ha dovuto spiegare a più d'uno il contenuto della norma come si fa con gli studenti del primo anno di Legge, anche se quelli di fronte a lui erano la crème de la crème della magistratura, e cioè che la circolare prevede che il pm possa comunicare con il Csm solo a iscrizioni avvenute. Il consigliere Stefano Cavanna ha ammesso: «Certamente il fine (di Davigo, ndr) non era istituzionale o comunque collegato alle sue funzioni di consigliere».
PAOLO STORARI
Ma l'ex pm del Pool di Mani pulite avrebbe tranquillizzato alcuni colleghi titubanti dicendo di «averne parlato prima con Ermini e poi con Salvi aggiungendo che Ermini aveva riferito la vicenda al Quirinale»
Cascini, sentendo puzza di bruciato, si è giustificato davanti al procuratore Prete sostenendo che quando Davigo gli aveva parlato delle dichiarazioni di Amara non si sentiva un pubblico ufficiale: «Era chiaro a tutti e due che non ricevevo quelle informazioni nell'esercizio delle mie funzioni. La ritenni infatti una confidenza tra colleghi».
Deve averla pensata allo stesso anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Infatti a Brescia Ermini ha spiegato: «Mi recai al Quirinale, saltando il consigliere giuridico. Parlai personalmente al Presidente di varie questioni e lo informai anche di quanto Davigo mi aveva raccontato. Il Presidente mi ascolto senza fare commenti». Tutti zitti e buoni per dirla con i Maneskin.