Estratto dell'articolo di Andrea Scanzi per il "Fatto quotidiano"
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Maledetta incapacità di saper smettere. Proprio come Totti e mille altri, Zlatan Ibrahimovic non ha saputo imboccare il viale del tramonto quanto doveva. Se avesse smesso un anno fa, dopo la conquista di uno degli scudetti più imprevedibili degli ultimi decenni, Ibra sarebbe stato perfetto. Per meglio dire: pienamente epico. Un anno fa, in quel primo posto al fotofinish sull’Inter, Ibra era stato decisivo. Soprattutto nella prima parte della stagione.
(...) Tra libri e interviste deliberatamente sborone, Ibra è stato una sorta di Muhammad Ali applicato al calcio: analogamente narciso, analogamente autoironico (ma qualcuno deve ancora accorgersene), analogamente devastante e in grado quasi di fermare il tempo (ho detto “quasi”: pure Ali, con esiti ben più drammatici, non seppe smettere quando avrebbe dovuto). Lo scudetto 2021-22 è stata la sua Kinshasa: il suo Rumble In The Jungle. Sarebbe bastato, a quel punto, smettere.
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Ma Ibra non ce l’ha fatta, perché i campionissimi sono così: intrisi di adrenalina e condannati all’horror vacui. E così uno dei più grandi attaccanti di tutti i tempi si è ritirato dopo una stagione da malato e una partita inutile, lasciando che il suo ultimo film fosse diretto da un regista qualsiasi e non di un Kubrick o uno Scorsese. Peccato, perché due sere fa è uscito di scena uno degli ultimi personaggi autentici in un ambiente sempre più saturo di polli di allevamento e ballerini di seconda fila. Ibra è stato un uragano in grado di pensare (e realizzare) un calcio lunare, ora da playstation e ora da Bruce Lee. Divisivo per indole e per dovere, non ha mai lasciato indifferenti. Ha fatto e detto cazzate a raffica. È stato spesso insopportabile.
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Ha vinto tutto quel che c’era da vincere in Italia, Svezia, Francia e Spagna, tranne la Champions League: e sa bene che gliene faranno sempre una colpa. Prima dell’infortunio col Manchester United era un supereroe, dopo l’infortunio lo è divenuto ancora di più. La sua resurrezione sportiva nel Milan di Pioli resterà una delle ultime favole vere in quel sottoscala della pazzia che è poi il calcio. Domenica sera ha pianto, e qualcuno si è stupito: “Allora anche lui è umano!”.
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Quanta miopia: l’egocentrismo ostentato, in Ibra, è proprio la sua maniera per prendere in controtempo tutte le sue fragilità. Uno come lui, ora, dovrebbe fare come Eric Cantona. Una nuova vita da attore, da uomo pienamente di spettacolo che travalica i confini sportivi: un futuro che lo alletta, anche se – rispetto a Cantona – è sprovvisto della componente “politica”. In campo mancherà a tutti, anche a chi credeva di odiarlo. Parlando del suo ritiro, ha detto: “Quando mi sono svegliato pioveva. E ho detto: ‘Pure Dio è triste’”. Sembra supponenza, ma è solo realismo brutale. Buona vita, Ibracadabra. E grazie di tutto.
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