Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
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Proteste di gruppi piccoli ma molto attivi, ben coordinati e finanziati da miliardari della destra radicale spuntati all' improvviso in molte parti del Paese. Fu così che, inizialmente sottovalutati, i Tea Party nel 2009 eressero le barricate contro le quali si infranse la riforma sanitaria di Barack Obama (che verrà poi approvata in una versione molto annacquata).
Undici anni dopo la storia si ripete - simili lo scenario, le modalità organizzative e la spinta politica - con le proteste degli attivisti che chiedono di riaprire subito l' America e considerano le misure sanitarie contro la pandemia - attività economiche sospese e distanziamento sociale - violazioni dei loro diritti costituzionali.
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Mercoledì scorso la prima marcia sul Campidoglio di Lansing, la capitale del Michigan. Sembrava una manifestazione spontanea, nata da un passaparola su Facebook.
Invece c' era dietro una vera organizzazione che ha lanciato un' offensiva denominata Operation Gridlock. Da lì una raffica di altri assedi ai governatori (democratici e repubblicani) che hanno adottato misure sanitarie prudenziali, dal Texas alla Pennsylvania, dall' Arizona all' Ohio.
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Le nuove proteste, che si sono moltiplicate nel weekend e continuano anche in questi giorni, oltre al sostegno di mani finanziarie forti del fronte conservatore (come quelle della famiglia di Betsy DeVos, ministro del governo Trump) hanno un altro importante elemento in comune coi Tea Party: come i movimenti di allora, sono attivamente sostenute dalla Fox, la rete televisiva conservatrice di Rupert Murdoch; i suoi conduttori soffiano sul fuoco del disagio economico crescente dei cittadini - un fenomeno sicuramente reale - mettendo sotto accusa i «governatori liberticidi» e presentando gli attivisti, molti dei quali scesi in piazza in tuta mimetica e imbracciando fucili automatici, come eroici difensori della Costituzione. Proprio come 11 anni fa, la Fox pubblica il calendario delle manifestazioni e sul suo sito offre anche informazioni logistiche a beneficio degli organizzatori delle proteste.
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Be', a voler spaccare il capello in quattro una differenza rispetto al 2009 ci sarebbe.
Allora alla Casa Bianca sedeva un presidente, Obama, che i Tea Party volevano abbattere. Ora invece i ribelli anti-lockdown inneggiano al ticket presidenziale Trump-Pence. Ma come, non sono stati proprio loro due, dopo i tentennamenti iniziali, a ordinare il confinamento nelle abitazioni?
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Di questi tempi, si sa, umori e interpretazioni contano più dei fatti, strumentalizzati a fini politici in modo sempre più sfacciato. A destra come a sinistra. Trump, che in questo campo è il più abile e spregiudicato, seguendo la solita logica da «partito di lotta e di governo» inneggia agli insorti che chiedono la rimozione di blocchi che lui stesso ha decretato.
Per levarsi di torno i pedanti che pretendono un minimo di coerenza, viene diffusa la narrativa di un Trump che vorrebbe riaprire, ma è imprigionato da un lato dagli esperti sanitari della Casa Bianca, dall' altro dalle resistenze di molti governatori.
Gli attacchi si concentrano così su questi ultimi - con Trump che invoca la «liberazione» di Michigan, Minnesota e Virginia - dimenticando che gli Stati non sono ancora nelle condizioni previste dalla Casa Bianca per allentare i vincoli: due settimane di riduzione del contagio.
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Non va meglio agli epidemiologi, da mesi in prima linea. La tragedia del coronavirus sembrava aver risvegliato le coscienze e riabilitato gli esperti. Macché: superato il picco dei morti e dei contagi, i competenti tornano sul banco degli imputati. Sono sospettati di usare la scienza per trasformare l' America libertaria in un Paese statalista. Gli umori di questi attivisti, pochi ma energici, emergono, chiari, dalle loro insegne: «La libertà è più forte della paura»,«Gesù è il mio vaccino» mentre la «social distance«, diventa «socialism distance».
Il bersaglio preferito? Il mite dottor Fauci: da epidemiologo della Casa Bianca a carceriere che tiene in gabbia Trump.
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