Anticipazione dell’articolo di Pierluigi Panza per la rivista scientifica “ANANKE”
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Si racconta che nel 1947 l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli si travestì da scopino per ammirare i marmi della Collezione Torlonia. Vi spiccano statue romane a grandezza naturale come l’Hestia Giustiniani, sarcofagi, urne, vasi, tazze, busti, nonché un ciclo di affreschi con raffigurazioni di miti troiani ed etruschi proveniente da uno dei più celebri sepolcri di Vulci, la Tomba François del IV secolo a. C.
L’appuntamento per vedere novanta dei (circa) 620 pezzi della collezione era fissato per il 4 aprile a Palazzo Caffarelli; ma a causa del Coronavirus, quella data è stata impossibile da rispettare. Questa collezione di marmi, valutata dalla Sovrintendenza 600 milioni di euro, è fuori dai radar della storia da quando il Museo Torlonia fu chiuso dalla sera alla mattina per essere trasformato in 70 appartamenti abusivi. Questo museo in via della Lungara era stato fondato dal principe Alessandro nel 1875.
invito alla danza fond torlonia ph lorenzo de masi.
L’accusa di abusivismo indusse i proprietari a porre di fatto "sotto auto-sequestro" la collezione. Dagli anni Settanta Antonio Cederna impiegò fiumi di inchiostro perché la raccolta uscisse dagli scantinati. Niente da fare, tantomeno Villa Albani, chiusa da sempre con le sue statue i suoi dipinti del Perugino, Guercino e il “Parnaso” affrescato da Anton Raphael Mengs. Il “delitto” di abusivismo andò in prescrizione e ciò rese possibile, il 15 marzo 2016, firmare un protocollo d'intesa tra il Ministero dei beni culturali e la fondazione Torlonia per un'esposizione permanente di circa 90 opere. Ma insorsero altri problemi.
Il proprietario di questo immenso patrimonio, il quattro volte principe Alessandro Torlonia-Borghese, banchiere nonché assistente al soglio pontificio, morì a 92 anni nel dicembre del 2017.
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L’anno dopo Carlo Torlonia, il primogenito, impugnò il testamento contro i fratelli (Paola, Francesca e Giulio) convinto che quella sterminata eredità non fosse stata ripartita a dovere, chiedendo «l'accertamento della lesione della propria quota legittima». Due miliardi di euro e forse più valevano, secondo stime, i beni che il principe aveva lasciato: il palazzo in via della Conciliazione, Villa Albani sulla Salaria, le due ville a Castel Gandolfo oltre ai marmi.
Sulla stampa si lasciò trasparire anche di possibili pezzi della collezione in corso di vendita. Tra il novembre e il dicembre del 2018 fu così emesso un provvedimento di sequestro giudiziario e conservativo che comprendeva anche i 620 marmi. Nell’aprile del 2019, però, la magistratura ha sbloccato i beni. A quel punto si poté pianificare l’attesa esposizione “The Torlonia Marbles. Collecting Masterpieces” a Palazzo Caffarelli, a cura di Salvatore Settis e Carlo Gasparri.
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LA STORIA DELLA COLLEZIONE - La famiglia Albani iniziò a collezionare antichità con Clemente XI e continuò con i nipoti, i cardinali Annibale e, soprattutto, Alessandro. Alessandro si versò al gusto dell’antico dal 1715, quando incontrò il barone Philipp von Stosch, maggior conoscitore di gemme del tempo. Iniziò a collezionare pezzi da Tivoli, che scambiò con nobili inglesi (il conte di Leicester attraverso lo scultore Matthew Brettingham), servendosi per i restauri principalmente di Bartolomeo Cavaceppi.
Come ricorda Carlo Gasparri sono tuttavia ancora incerte le origini e l’esatta consistenza delle prime collezioni di antichità di Alessandro, formate con acquisti (nel 1725 quello delle sculture dei Padri della Certosa e di venti ritratti di filosofi dei Verospi) oltre che con scavi a Roma e a Tivoli, Genzano, Anzio, Lanuvio. Nei primi tempi la famiglia conservava i pezzi a Palazzo Nerli, oggi Del Drago, in via Quattro Fontane, che già ospitava le antichità del cardinale Camillo Massimo. Dopo la vendita del 1732, il cardinale Alessandro riunì i pezzi, compresi quelli che andava acquisendo dai Cesi, da Villa Medici, Villa Negroni, Villa d’Este, Villa Adriana e altri siti nel nuovo complesso su via Salaria.
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Villa Albani in via Salaria fu costruita tra il 1757 e il 1799 da Carlo Marchionni e l’allestimento di questo edificio, del giardino e delle pertinenze diventò palestra per il riutilizzo di frammenti archeologici che si andavano scavando. Vennero creati spazi e percorsi appositamente pensati per ospitare rovine e statue antiche come, ad esempio, il Portico delle Cariatidi, inciso anche da Giovan Battista Piranesi a tavola LXVIII di Vasi, candelabri, cippi... del 1778.
Per realizzare questo disegno il Cardinale Albani si circondò dei maggiori eruditi di Roma, tra i quali Johann Joachim Winckelmann, suo bibliotecario dal 1758 e “ideatore” del gusto iconografico della villa, nonché Giovanni Battista Nolli, autore della celebre Pianta di Roma del 1744.
Il cardinale non si faceva scrupolo anche di vendere agli inglesi pezzi fatti giungere a Villa Albani. Uno dei casi più celebri è quello del “Cupido dormiente” ceduto nel 1763 attraverso il banchiere e collezionista Thomas Jenkins a Lyde Browne per la sua raccolta di Wimbledon, da questo ceduta a Charles Townley nel 1772.
Il coinvolgimento diretto di Piranesi nel cantiere della Villa (i maggiori studi su questo punto sono quelli di Elisa Debenedetti e di Carlo Gasparri) è scarsamente documentabile, ma Piranesi la conosceva: la incise nelle Vedute di Roma e una parte significativa dei capitelli o dei frammenti decorativi incisi nelle trentotto tavole che accompagnano il Della Magnificenza ed Architettura de’ Romani del 1761 provenivano da Villa Albani. Una traccia per provare questo suo coinvolgimento viene anche dal cosiddetto “Pasticcio Piranesi, un bassorilievo del tipo delle “Lastre Campana” da lui realizzato che finì a Villa Albani.
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Il destino della Villa fu da subito complicato. Centotrenta sculture della collezione furono sequestrate dai francesi e dai napoletani nel 1798-99 durante la Prima Repubblica Romana. Delle sculture trasferite al Musée Napoléon ne furono, in seguito al Congresso di Vienna, restituite settanta.
Ma gli eredi Albani le posero in vendita a Parigi nel 1815 e furono acquistate dal Louvre: sono circa venti pezzi, alcuni erano stati incisi da Piranesi in Vasi, candelabri, cippi… In conseguenza dell’intervento francese, la collezione subì una riorganizzazione nel 1801-1803 e nuovi interventi dopo il 1868, quando la villa, già passata ai Castelbarco, fu ceduta alla famiglia Torlonia, stabilitasi a Roma dalla fine del XVIII secolo.
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Le antichità della Villa si fusero così con i nuclei della collezione Torlonia custoditi nel palazzo di Piazza Venezia, formati anche dagli acquisti, tramite il Vitali, dei pezzi degli atelier Pacetti e Cavaceppi. In seguito, la maggior parte delle sculture fu trasferita nella villa, già Colonna, sulla via Nomentana, sistemata da Alessandro Torlonia nel 1842. Alla demolizione di questa, le sculture furono trasferite nel Palazzo Giraud-Torlonia in via della Conciliazione, poi collocate in Palazzo Corsini e, infine, molte nel Museo Torlonia alla Lungara.
La collezione Torlonia si arricchì anche delle sculture della Galleria Giustiniani, acquistata nel 1816 e annessa alle proprietà più tardi. Il museo fu sistemato sotto la direzione di Pietro Ercole Visconti, che ne pubblicò il catalogo nelle edizioni del 1876 e del 1881. Carlo Ludovico Visconti curò l'edizione del 1883 e quella, integralmente illustrata, del 1884-1885. Poi, per la vicenda sopra descritta, nel Dopoguerra il Museo cessò di esistere.
I MARMI DELLA COLLEZIONE TORLONIA villa albani torlonia 5 villa albani torlonia 6 marmi torlonia sarcofago collezione torlonia PAOLO VI CON ALESSANDRO TORLONIA E ASPRENO COLONNA ULTIMI ASSISTENTI AL SOGLIO PONTIFICIO fanciulla torlonia ritrovata a vulci marmi della collezione torlonia 7 gruppo con guerriero fond torlonia ph de masi