Angela Pederiva per “il Messaggero”
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Un racconto di un'ora e mezza, fra ammissioni e chiarimenti. Il riassunto è di disarmante e drammatica consequenzialità: «Volevo i soldi e l'ho accoltellata». Non una, almeno 20 volte: dunque puntava a derubare Marta Novello, ma ha finito per cercare di ucciderla, perciò il 15enne di Mogliano Veneto deve restare recluso nel centro di prima accoglienza attiguo alla casa circondariale di Treviso.
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Stanno per scoccare le 12.30, quando nel Palazzo della giustizia minorile a Mestre viene scritto il primo punto fermo, dopo giorni di congetture e smentite. È appena terminata l'udienza di convalida dell'arresto, avvenuto lunedì nel quartiere di Marocco. Il mezzo della polizia penitenziaria riparte verso il penitenziario di Santa Bona, in esecuzione dell'ordinanza letta poco prima dal giudice Valeria Zancan del Tribunale per i minorenni di Venezia, che dispone la custodia cautelare in carcere a carico dell'indagato.
È stata così accolta la tesi del sostituto procuratore Giulia Dal Pos, senza che l'avvocato Matteo Scussat abbia formulato alcuna obiezione. Evidentemente la versione dello studente, scandita dagli interrogativi dei due magistrati, si è concretizzata in una confessione che ha confermato la pista imboccata dai carabinieri della compagnia di Treviso.
Eloquente è la qualificazione giuridica del fatto, che per il gip resta quella ipotizzata dagli inquirenti: tentata rapina aggravata e tentato omicidio aggravato. Le due aggravanti contestate all'adolescente evidenziano tutta l'efferatezza dell'aggressione.
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La tentata rapina è stata commessa «con armi», cioè mediante un coltello dalla lama lunga una decina di centimetri. Il tentato omicidio è stato compiuto «per motivi abietti o futili», come viene definito l'obiettivo di derubare una ragazza che stava correndo con addosso soltanto le cuffiette, le chiavi di casa e il cellulare. Il 15enne ascolta la lettura del dispositivo, poi esce dall'aula senza più incontrare la mamma, che ha potuto abbracciare durante l'attesa della decisione.
IL PROGETTO
Tocca all'avvocato Scussat affrontare lo schieramento di giornalisti. «I processi si fanno in tribunale premette il difensore Il mio assistito ha risposto alle domande e ricostruito i fatti. Ma non dirò nulla che possa danneggiarlo, neanche sul suo atteggiamento o sulle sue emozioni, ho dei doveri deontologici verso di lui». La rapina come movente, comunque? «Se l'ordinanza ha qualificato così l'episodio, fate le vostre deduzioni...».
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«Non ho mai detto che non credevo alla rapina, ma che c'erano degli aspetti che sfuggivano. Penso ad esempio al fatto che la ragazza stava andando a correre e probabilmente non poteva avere con sé soldi e valori.
Oppure alla ferocia, al numero dei colpi. Ma basta parlarne. Mi sono rimesso serenamente al prudente apprezzamento del magistrato, anche in ordine ad eventuali misure alternative».
Il legale non le ha chieste e il giudice non le ha concesse. «Accettiamo questa decisione e non faremo appello, così come non abbiamo chiesto perizie psichiatriche. Il ragazzo è entrato da poco a contatto con gli operatori e gli educatori».
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Nel frattempo continuano le indagini dei carabinieri. A cosa gli servivano i soldi? Nelle ultime ore sono state convocate in caserma una decina di persone: i familiari del 15enne, ma soprattutto i suoi amici più stretti. Gli investigatori scavano nella rete delle sue frequentazioni, per capire cosa (o chi) possa aver scatenato nell'adolescente la necessità del denaro. È ormai chiaro che cruciali saranno le analisi informatiche sul computer e sullo smartphone che sono stati sequestrati: fra quei contatti potrebbe esserci la chiave del brutale assalto.