Filippo Brunamonti per “La Repubblica”
DUNKIRK
«La speranza è un' arma. La sopravvivenza una vittoria». Dal cielo di Dunkerque all'hangar dell' aeroporto di Santa Monica, ecco schierato un battaglione di Supermarine Spitfire, caccia monoposto impiegati dalla Royal Air Force. Christopher Nolan, giacca scura elegante e camicia blu, li passa in rassegna, come se stesse meditando sulla sfida lanciata a Steven Spielberg.
«Dunkirk è, come si dice, il mio primo film realista, un' indagine, quasi senza dialoghi, sul corso della seconda guerra mondiale», racconta Nolan, autore di Inception e della trilogia del Cavaliere Oscuro. Se, a partire da Lincoln a Il ponte delle spie, Spielberg è intervenuto sulla democrazia americana, ora tocca al londinese d' acciaio girare una sua visione della guerra: il recupero via mare, attraverso la Manica, di 338.226 tra inglesi e alleati - francesi, belgi, olandesi - circondati dai nazisti, bloccati sulla costa dal 26 maggio al 4 giugno del 1940.
DUNKIRK
«Gli studios e il pubblico americano sono interessati a storie americane» fa sapere il regista. «Difficile convincerli che questo film inglese riguarda in realtà tutti. La vera forza del cinema, penso al kolossal Lawrence d' Arabia, è saper attraversare i confini. Hollywood unisce razze e culture».
Dunkirk uscirà in Italia il 31 agosto distribuito da Warner Bros e vanta un cast "multi-generazione": dal giovane protagonista Fionn Whitehead ai veterani Kenneth Branagh, Cillian Murphy, Mark Rylance, Tom Hardy.
DUNKIRK
In mezzo a loro, la scommessa di Nolan: Harry Styles, 23 anni, teen idol della boyband One Direction («Non sapevo fosse così famoso», dice il regista). «La battaglia di Dunkerque è una seconda pelle per gli inglesi. Il simbolo del trionfo sulle avversità» dice Nolan. «Per raccontare la storia da un punto di vista soggettivo, ho scelto la terra, l' aria e l'acqua come lenti e zoom della guerra. Una realtà virtuale senza casco, ad occhio nudo».
Il paragone con Spielberg lo rinfranca ma, precisa, «abbiamo una visione opposta sulle sale: Spielberg e altri grandi registi di Hollywood come J.J. Abrams e Ron Howard appoggiano i nuovi servizi di streaming che permettono agli utenti di guardarsi i blockbuster comodamente a casa nel giorno d'uscita al cinema. Io credo nell'immersione collettiva e nel formato gigante: non c' è storia tra grande schermo e laptop».
Dell'operazione Dynamo che cosa l'ha affascinata?
DUNKIRK
«Mi interessava esplorare il fattore umano della seconda guerra mondiale, e soprattutto una condizione di panico alla Hitchcock come quella della battaglia di Dunkerque, quando i tedeschi intrappolano gli alleati tra Calais e Ostenda. Con Dunkirk guardo in faccia gli inglesi mentre capiscono di non avere più speranza. Ad un certo punto, è il Comandante Bolton, interpretato da Kenneth Branagh, a pronunciare la parola-chiave: "speranza". Le forze alleate danno vita a un' impresa che Churchill definirà "miracolo". È proprio questo lo spirito Dunkerque».
Come ha affrontato una vicenda realmente accaduta?
DUNKIRK
«Questa è la mia prima fuga dall' immaginario, in un certo senso. A parità di fascino, invenzione e realtà meritano sguardi diversi. La realtà, ad esempio, ha un tempo tutto suo: dilatato, dolce, frantumato. Ti obbliga a vedere ogni suo aspetto, seppur contraddittorio. Quando esplori un meccanismo ad orologeria come quello di Inception lascio invece che sia lo spettatore a inseguire l' immaginazione, e quindi la propria percezione della realtà.
Tutte le interpretazioni sono valide. Dico sempre che con il progredire della tecnologia abbiamo cominciato a vedere il reale come il cugino minore dei nostri sogni, mentre l'astratto è diventato il sottoinsieme di un mondo in cui lo spettatore crede di vivere».
Ha detto che "Dunkirk" è il culmine della sua esperienza con il formato Imax, perché?
DUNKIRK
«Henri-Georges Clouzot, David Lean e Terrence Malick sono stati un' ispirazione per me. E anche Spielberg, che per Salvate il soldato Ryan ha avuto il controllo totale dagli studios. È un insieme di Imax e 65mm per tutte e due le ore di durata, con cineprese piantate al suolo, sulla spiaggia, mentre piovono bombe dal cielo e sulle piccole imbarcazioni da diporto. Tom Hardy recita con una cinepresa simile a una GoPro di 25 chili, installata davanti al viso, dentro uno Spitfire d' epoca. Questo è il film più visivo che abbia mai girato; una specie di classico muto da vivere momento per momento».
È vero che lei e suo fratello, Jonathan, avete diretto una saga di Guerre Stellari amatoriale?
«Non penso vedrà mai la luce. Però esiste. È il nostro orgoglio bambino».