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    I TEST MI STANNO SUI TESTICOLI - I TEST INVALSI BOICOTTATI FACENDO LE CORNA SUI FOGLI, SCRIVENDO CHE STUDIARE “È COME UN CALCOLO RENALE”, FACENDOSI AIUTARE DAI PROF – IN TUTTA ITALIA LA PROTESTA SI È SALDATA CON QUELLA CONTRO LA RIFORMA RENZI


     
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    1.COLPI DI TEST

    Massimo Gramellini per “la Stampa

     

    Gli scolari di una terza elementare australiana hanno ricevuto una bella lettera dai loro insegnanti, che li invitavano a sdrammatizzare il significato dei test: non coglieranno la vostra sensibilità e creatività, non vi diranno realmente chi siete. Poi però i test sono stati fatti, in Australia come nel resto del mondo.

     

    Perché, per quanto limitati, sono utili. Soltanto in Italia continuano a essere vissuti come un insulto alla dignità degli studenti e dei professori, che in alcuni casi contribuiscono all’azione di boicottaggio in modo fantasioso: per esempio aiutando i ragazzi a compilarli. Certi genitori danno volentieri manforte, tenendo a casa il pargolo per non sottoporlo all’umiliazione di un questionario irto di crocette e quesiti talvolta mal posti. 

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    In questa ribellione di massa c’è il fastidio che gli italiani provano ogni volta che qualcuno si mette in testa l’idea bizzarra di giudicarli. C’è tutta la cultura umanistica di cui è ancora intrisa la nostra scuola, che non accetta di sostituire la soggettività del tema o del riassunto con la fredda contabilità di un questionario anonimo di chiara ispirazione anglosassone.

     

    Ma c’è anche un sentimento perdurante di anarchia, che porta gli adulti a comportarsi come i ragazzi nel boicottare gli ordini superiori. Cosa penseremmo di un giudice che, oltre a criticarla, si rifiutasse di applicare una legge? Il mio potrebbe sembrare un discorso conservatore, se non fosse che del modello di scuola di chi protesta contro i test Invalsi è rimasto ben poco da conservare.

     

     

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    2. LA PROTESTA: PROVE FALSATE, NON CI PIEGHIAMO

    Ilario Lombardo per “la Stampa

     

    C’è chi sul foglio ha disegnato le classiche e immancabili corna, chi ha scarabocchiato la sagoma di un alieno, e chi invece si è sbizzarrito con le frasi più dissacranti. Tipo: alla domanda «Per te studiare è come…», la risposta è stata «… un calcolo renale» e via dicendo. Ovviamente il tutto immortalato con gli smartphone e condiviso sui social network.

     

    Certo, la fantasia non manca agli studenti italiani che ieri hanno deciso in massa di boicottare i test Invalsi. Molti lo hanno fatto restando in aula ma divertendosi a sabotare i quiz, altri invece disertando i banchi di scuola. A Palermo per esempio allievi di diversi licei e altri istituti si sono ritrovati sulla spiaggia di Mondello a godersi il sole. A Roma si sono dati appuntamento per un flash mob notturno di fronte al ministero dell’Istruzione. Così e in molti altri modi, gli studenti, al grido di «non siamo numeri e crocette» hanno detto no agli annuali questionari che ieri toccavano ai ragazzi delle superiori.

     

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    Non piace come sono strutturati, spiega Danilo Lampis, leader dell’Unione degli Studenti, che più si è data da fare contro le prove: «Non ci pieghiamo a test inutilmente costosi che offrono una valutazione gerarchica, escludente e non democratica». Non piace che siano omogenei e non rispettino le differenze territoriali e sociali, né tengano conto dell’indirizzo scolastico e del percorso di studi. Non piace che, come sostengono anche diversi prof, alla fine «tutto sia falsato», con gli stessi docenti che, in molti casi, fanno copiare e aiutano. 


    È da quando li hanno introdotti per la prima volta nel 2009, dopo una fase di sperimentazione di un paio di anni, che si rinnova l’invito di alcune sigle sindacali e associazioni degli studenti a boicottare gli Invalsi. Esami che dovrebbero valutare il livello di apprendimento degli studenti italiani e la qualità dell’offerta formativa.

     

    Quest’anno però la protesta ha avuto un upgrade politico e si è saldata a quella contro la riforma griffata Matteo Renzi. Ne è conseguito un battage mediatico esplosivo che nell’era dei social si è trasformato in una ribellione collettiva indirizzata al governo. «L’adesione è stata altissima» esultava già in mattinata l’Uds mentre, di ora in ora, aggiornava con foto e altro l’elenco delle classi e delle scuole sulle barricate.

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    I numeri però sono più precisi delle dichiarazioni di entusiasmo: secondo l’istituto per la valutazione che sotto il patrocinio ministeriale realizza i test, su 548 mila studenti delle classi seconde delle superiori la partecipazione complessiva è stata del 77,36% (dell’80,52 contando solo le classi campione). Un calo abbondante, se paragonato agli scorsi anni quando invece la partecipazione, in media, è andata ben oltre il 95%.

     

    «Il boicottaggio è gravissimo, strumentalizzare questa questione significa speculare sul futuro dei ragazzi» ha reagito il ministro Stefania Giannini, definendo «inaccettabile il collegamento delle prove Invalsi con la discussione in corso sulla Buona scuola». Eppure è così. Quasi il 20 per cento in più di adesione alla protesta sono lo specchio di un dissenso crescente che si è fatto largo anche tra quei docenti che hanno invitato gli studenti a non svolgere i test o a restare a casa.

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