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    IL BORGATARO FA TANTO CHIC – DA CHEF RUBIO A ZORO E MAKKOX, IMPERVERSA IN TV E IN LIBRERIA UNA MACCHIETTA ROMANESCA (E UN PO’ BURINA) CHE RIESCE A POLITICIZZARE ANCHE LE PROPRIE ORIGINI. I SINISTRATI DELLA ZTL, CHE SCHIFANO LE PERIFERIE VERE, HANNO DELIBERATO DI EMANCIPARE MEDIATICAMENTE IL ROMANESCO SE CHI LO PARLA È DI SINISTRA, TUTTI GLI ALTRI SONO RIDOTTI A "PESCIAROLE" COME LA MELONI. IL CASO DEL ROMANO DOC OSHO: SATIRA TRASVERSALE MA CON SIMPATIE DI DESTRA. ALLORA DIVENTA “OSHO-FASHO...”


     
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    Gemma Gaetani per “la Verità”

     

    zerocalcare zerocalcare

    Che la romanità sia una caratteristica dominante nel mondo dello spettacolo lo sappiamo da tempo. Ma una volta, almeno, aveva una tonalità politicamente più neutra: o la connotazione politica non c' era proprio oppure tutte le diverse posizioni erano considerate. C' erano i fenomeni più squisitamente locali, come Lando Fiorini e il suo teatro Il Puff. Ma c' erano anche grandi personalità capaci al contempo di rappresentare la città eterna e un più ampio diametro di italianità e di umanità.

     

    Talenti come Alberto Sordi, Gigi Proietti e Carlo Verdone. I quali, con tutte le loro diversità e peculiarità, non si sono mai comportati da uomini sandwich del partito di turno. Adesso, però, avanza un nuovo fenomeno: la Borgata Radical Chic. Una barca, anzi un barcone, di romani più o meno veri e più o meno (realmente) «figli del popolo» che mettono la loro romanità al servizio della politica.

    Quella progressista, ovviamente.

     

    zerocalcare zerocalcare

     

    Nelle librerie, ad esempio, stanziano pile di fumetti di Zerocalcare, fumettista che ama ostentare il marchio Dop di «ultimo de Rebibbia». Peccato sia nato ad Arezzo, vissuto in Francia e poi, planato al quartiere della periferia romana, ha comunque studiato all' istituto privato francese Lycée Chateaubriand (due sedi in centro a Roma, a oggi circa 6.000 euro l' anno di retta). Zerocalcare, oltre alla patente di romano, ha il passaporto rosso, e non perde occasione per mostrarlo.

    chef rubio chef rubio

     

    Nel 2019 minacciò la diserzione dal Salone del libro perché gli era «impossibile pensare di rimanere tre giorni seduto a pochi metri dai sodali di chi ha accoltellato i miei fratelli», scrisse su Facebook. Gli «accoltellatori» erano i responsabili della casa editrice Altaforte, accusata di essere «vicina a Casapound» e quindi espulsa dal Salone. Il concetto è sempre il solito: la cultura di destra non ha semplicemente diritto di esistere.

     

    Zerocalcare e gli altri alfieri contemporanei della romanità agiscono così: si presentano come una sorta di «Quarto Stato» della capitale, ma sguazzano nel potere egemonico-culturale della sinistra, ricavandone un certo successo anche commerciale (in questo caso il capitale è benedetto).

    Chef Rubio (q) Chef Rubio (q)

     

    Un altro esponente della categoria, ora un po' in disgrazia, è Chef Rubio, che non è romano ma di Frascati (dunque, tecnicamente, un burino). Divulgava il cibo di strada in tv parlando come Mario Brega - e ruttando dopo le deglutizioni come Bombolo - per poi insufflare pubblicamente nel dialetto del Colosseo una fede sinistroide sempre più aggressiva infine sfociata in un pesantissimo antisionismo filopalestinese.

    Solo a quel punto - prima, tutto bene - i contratti tv sono saltati. Ora twitta contro «la tv controllata e censurata dai sionisti» galvanizzando soggetti che gli twittano «Sei il mio Banksy della cucina». Vero: peccato che non sia un complimento.

     

    CHEF RUBIO CHEF RUBIO

    Propaganda semprePoi c' è Makkox, che dai volumi a fumetti si è espanso al video (nel programma di La7 Propaganda live) e ai quotidiani (Il Foglio) a forza di attaccare Matteo Salvini e chi lo vota. È nato a Formia e cresciuto a Gaeta, Latina. Misteri dell' ideologia progressista: per tradurre i neri devi essere nero, per parlare delle donne devi essere donna, per fare il romano de sinistra vai benissimo anche se vieni da Terni, Umbria.

    zoro zoro

    Zoro, al secolo Diego Bianchi, conduttore di Propaganda live, almeno è davvero romano. Ha introdotto il romanesco come compiaciuto e svaccato linguaggio della presentazione tv e ogni venerdì, come da titolo, fa propaganda in diretta. Per lui «romanaccio is the new italiano». E potrebbe essere persino una cosa bella, se non fosse a senso unico. La fumettista romana Paola Ceccantoni, in arte Pubble, avendo idee di destra, non gode certo della stessa visibilità di Zoro o Zerocalcare, e viene spesso oscurata persino sul Web.

     

    Il Parnaso progressista, che schifa le periferie vere, ha deliberato di emancipare mediaticamente il romanesco se chi lo parla è di sinistra, tutti gli altri sono ridotti a «pesciarole» (così fu definita Giorgia Meloni, romana della Garbatella). La romana non di sinistra va insultata nella realtà e nella finzione: Martina Dell' Ombra, personaggio della siciliana Federica Cacciola, mette in scena una pariolina cretina, sovranista, qualunquista, e ovviamente razzista, omofoba eccetera.

    makkox makkox

    Gemello di Martina era Ruggero De Ceglie, imprenditore politicamente scorretto, schiavo dei «sòrdi» (il denaro) e della «sorca» (sineddoche volgarissima per «donna») che si esprimeva in turpiloquio romanesco più che in romanesco. Francesco Mandelli, di Erba, che lo ideò e interpretò, disse: «Ruggero è il berlusconismo». E figurati se potrebbe mai esistere un Ruggero progressista...

     

    Accenti fuori luogoL' unico vero erede della romanità trasversalmente rappresentativa in stile Sordi-Proietti-Verdone è Federico Palmaroli, autore de Le frasi di Osho: nelle sue fotovignette deride tutti i politici, facendoli parlare appunto in romanesco. È impermeabile alla strumentalizzazione propagandistica della satira, e poiché non prende di mira soltanto destra e centrodestra è stato sprezzantemente ribattezzato «Fasho» da Andrea Scanzi.

     

    Nel 2009 Roberto Castelli, criticando l' attore Massimo Ghini che nella fiction Rai Papa Giovanni - Joannes XXIII aveva fatto parlare il giovane papa Roncalli (bergamasco) in romanesco, disse che il centralismo amministrativo della Roma sede di ministeri e Parlamento si replicava nell'«occupazione romana dell' offerta cinematografica e televisiva di Stato».

     

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    La critica è stata riproposta recentemente dalla vox populi dei social network nei confronti dell' attore Luca Marinelli, che ha interpretato prima il padre omosessuale di una bimba rifiutata dalla snaturata madre etero ne Il padre d' Italia, poi Lo Zingaro attratto dai trans nel film Jeeg Robot (un tripudio di romanità). Marinelli è stato accusato di aver interpretato con un accento troppo romano perfino l' orgogliosamente genovesissimo Fabrizio De André nella fiction Rai Il principe libero. Il regista Luca Facchini lo ha difeso dicendo che non voleva «un imitatore ma un attore», come se l' immedesimazione nel personaggio possa essere solo interiore e non anche linguistica: pensate che stupidi tutti gli attori che fanno i corsi di dizione... Che importa, in fondo: la prevalenza del romanesco è giustificata sempre e ovunque. A patto, ovviamente, che sia di sinistra.

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