Estratto dell'articolo di Giacomo Talignani per "la Repubblica"
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Le speranze non sono appese al filo, ma ai conti. Se i soccorritori della Guardia costiera di Usa e Canada hanno calcolato bene una serie di fattori, dal punto in cui si è inabissato il Titan alle correnti, allora resta una remota chance di ritrovare il mezzo scomparso e forse anche i membri dell’equipaggio in vita. […] racconta Fernando Cugliari, calabrese, pilota esperto di Rov ( Remoted operated vehicle ) che ha preso parte all’ispezione del relitto di Portopalo, ha individuato altri relitti in Italia e oggi lavora con compagnie private oltre i 3500 metri di profondità.
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Qual è la prima cosa che si può fare per recuperare un mezzo sommerso?
«Un’indagine con un side scan sonar, il sonar a scansione laterale. Si stabilisce un’area quadrata ipotetica dove si tracciano linee di navigazione, un reticolato. Su quelle linee viene trascinato il side scan che fa strisciate ad alta velocità e restituisce un’immagine del fondo e di tutti gli oggetti che trova. Ma ha un limite».
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Quale?
«Stiamo parlando di strumentazione digitale che fornisce un’analisi quasi fotografica del fondo ma solo in un determinato punto. […]. Lo muovono avanti indietro e di lato finché non restituisce una mappatura completa di questi corridoi, ma per farlo possono volerci anche diversi giorni se l’area è grande».
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[…]
Nel punto in cui il sottomarino è scomparso, ora stanno calando un Rov. Significa che possono trovare il Titan?
«Mandare un Rov senza un ritorno specifico dai sonar sarebbe come calare l’ago in un pagliaio. Normalmente lo si usa solo se si ha certezza di dove è l’oggetto. Li portano con navi speciali, come quella con due Rov già sul posto[…] Il Rov può restituirti una sorta di foto in bianco e nero del sottomarino, ma prima deve individuarlo e non è semplice».
[…]
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Dalla sua esperienza crede che ci sia ancora speranza di salvare l’equipaggio?
«Dipende dai conti e da più fattori. Se le operazioni sono partite fin da subito, se sono stati veloci e bravi con i calcoli delle correnti tramite i correntometri e la rilevazione dell’ipotetica posizione, allora c’è speranza. Ma bisogna capire a quale altezza si è perso il contatto. Dipende molto da questo per riuscire a sviluppare la statistica successiva ideale per restringere l’area di ricerca. Se perdi il contatto a livello zero e finisce a 4.000 metri allora è difficile. Se il contatto invece è stato perso a metà strada è diverso, si può arrivare a capire dove è caduto. Il fatto che abbiano ancora poche ore di ossigeno a disposizione sembra drammatico, ma apre alla possibilità che siano ancora vivi. Per mia esperienza personale i 4000 metri, nel grande buio, sono davvero una profondità importante, ma dobbiamo avere fiducia che un salvataggio sia ancora possibile».
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