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    IL CALCIO STA CON LE PEZZE AL CULO - NELLA STAGIONE 2019/20, L’INDUSTRIA HA PERSO 3,7 MILIARDI DI RICAVI: LA SERIE A FA REGISTRARE IL CALO PIÙ NETTO TRA I CINQUE CAMPIONATI PIÙ IMPORTANTI (-18%) MENTRE LA BUNDESLIGA RESISTE (-4%) – A PESARE SUI BILANCI NON SOLO I MANCATI INGRESSI ALLO STADIO, MA ANCHE I COSTI DEL CALCIOMERCATO E I MANCATI RICAVI DAGLI SPONSOR – I CLUB ITALIANI HANNO FATTO UN BUON LAVORO, SORPRENDENTEMENTE, SOLO SUL CONTROLLO DEI COSTI...


     
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    1 - EFFETTO COVID IN EUROPA: L’ITALIA PAGA  PIÙ DI TUTTI 

    Alessandro F. Giudice per il "Corriere dello Sport"

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    Nella stagione 2019/20, la prima colpita dalla pandemia, l’industria del calcio europeo ha perduto 3,7 miliardi di ricavi, il 13% in meno rispetto al 2018/19. Tra i campionati Big Five (Inghilterra, Germania, Spagna, Italia, Francia) la Serie A registra il calo più netto (-18%) mentre la Bundesliga resiste (-4%) grazie alla più rapida ripartenza del torneo (dopo il grande lockdown) che ha consentito di disputare l’ultima parte della stagione entro il 30 giugno. Così il nostro campionato potrebbe recuperare una quota delle perdite nel 2020/21.

     

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    Il rapporto annuale Deloitte sullo stato di salute finanziaria del calcio europeo, pubblicato oggi, illustra l’impatto iniziale della pandemia che ha colpito la stagione 2019/20 a partire dal mese di marzo. Tiene conto dall’interruzione dei campionati per alcuni mesi ma non della chiusura degli stadi per l’intera stagione, come accaduto nell’ultima. Fornisce quindi un’interessante chiave di lettura per comprendere cosa accade, anticipando tendenze che avranno un impatto certamente più profondo nel 2020/21.

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    La resilienza del campionato tedesco, rispetto agli altri, è dovuta anzitutto alla capacità di evitare penali e sconti sul valore dei diritti televisivi rispetto all’anno precedente, diversamente dalla Serie A che ha ridotto gli introiti televisivi di 273 milioni (-19%) per l’effetto combinato dello slittamento dei pagamenti alla stagione 2020/21 e dei contenziosi legali, poi risolti.

     

    Anche la perdita nei ricavi commerciali appare molto contenuta in Bundesliga (-6%) grazie alla capacità dei club di “fare sistema” con gli sponsor, alcuni direttamente coinvolti come azionisti (pensiamo ad Allianz, Audi, Adidas nel Bayern oppure alla Red Bull e al Bayer Leverkusen). Al contrario, la Serie A ha perso 120 milioni di ricavi da sponsor (-16%), cifra su cui pesa molto la difficile situazione di Suning nell’Inter, il cui calo rappresenta oltre metà della contrazione complessiva.

     

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    Nella stagione appena conclusa, non ancora esaminata in questo studio, l’impatto della chiusura degli stadi si abbatterà in misura molto più consistente su tutti i campionati per l’assenza completa degli abbonamenti (che erano stati invece regolarmente venduti nel 2019/20) e per la disputa delle gare a porte chiuse durante l’intero campionato (e non solo a partire da marzo). Quando anche questi dati saranno disponibili la percezione del terremoto che ha scosso il calcio europeo sarà ancora più drammatica.

     

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    In uno scenario certamente difficilissimo lo stato di salute del nostro calcio si conferma molto precario anche in confronto agli altri campionati maggiori che mantengono un difficile equilibrio tra ricavi e costi operativi: se la Premier quasi azzera gli utili operativi (da 950 a 63 milioni), la Liga scende da 455 a 183 milioni mentre la Bundesliga li dimezza da 394 a 215 (diventando però il campionato europeo con gli utili operativi più robusti).

     

    La Serie A torna in profondo rosso (da -17 a -274) dopo anni in faticoso pareggio. Peggio di noi solo la Francia che registra una perdita operativa record passando da -306 a -575 milioni. 

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    Va detto che due club (Milan e Roma) contribuiscono da soli per due terzi dell’intera perdita operativa del nostro campionato ma, in generale, la situazione non è rosea.

     

    È invece nel controllo dei costi che i club italiani sembrano aver fatto, sorprendentemente, un buon lavoro poiché la Serie A è l’unico tra i grandi campionati a presentare una riduzione aggregata (174 milioni) nel monte stipendi che scende a 1,6 miliardi su 2,1 di ricavi complessivi.

     

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    Nel rapporto tra stipendi e fatturato siamo sempre in affanno perché il 78% dei ricavi della Serie A finisce nelle tasche di calciatori e tecnici mentre in Spagna il 67%, in Inghilterra il 73% e solo la Francia fa peggio con un drammatico 89%. Come è ampiamente noto, si tratta di un indicatore chiave nel controllo dello stato di salute dei club trattandosi della voce di costo di gran lunga più pesante.

     

    Tra le note più confortanti in uno scenario generale di grande sofferenza economica vi è certamente l’interesse degli investitori finanziari (soprattutto i fondi di private equity) che ha prodotto un afflusso di capitali freschi in un’industria dissanguata da difficoltà endogene: complessivamente 7,8 miliardi di investimenti nei 12 mesi tra gennaio 2020 e febbraio 2021, con un incremento del 50% rispetto al 2019.

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    Di quest’ondata di investimenti la Serie A ha saputo attrarre una quota significativa: si pensi alle acquisizioni della Roma da parte del gruppo Friedkin, del Parma e dello Spezia da parte di altri gruppi americani ma anche l’interesse concreto generato dall’operazione media company tentata (senza grande successo) dalla Lega di Serie A. 

     

    Tra le ragioni citate da Deloitte per questo interesse di investitori finanziari (sia a livello di singoli club che di leghe) certamente la dimensione dei campionati Big Five, quasi raddoppiata in un decennio (da 8,4 a 17 miliardi tra il 2009 e il 2019) ma anche l’opportunità che le difficoltà finanziarie contingenti di svariati club prospettano ad investitori ricchi di liquidità da impiegare.

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    La prevalenza di azionisti finanziari alla guida dei club (o in posizioni di minoranza qualificata) rende oggi le scelte dei club meno irrazionali favorendo politiche gestionali sempre più ispirate alla sostenibilità dei costi operativi.

     

    Questa tendenza favorisce l’afflusso di nuovi investitori incoraggiati da un contesto competitivo meno dominato dall’ossessione della vittoria sportiva a qualsiasi costo e più attenta ai parametri finanziari di ritorno sull’investimento dei capitali.

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    È molto probabile che dalla pandemia il calcio esca rafforzato grazie alla pulizia che il mercato farà delle situazioni in cui lo squilibrio tra mezzi e risultati diventa impossibile da sostenere nel medio o lungo periodo.

     

    2 - NON SOLO STADI CHIUSI: PESA IL CALO DEL CALCIOMERCATO 

    Alessandro F. Giudice per il "Corriere dello Sport"

     

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    Dal rapporto Deloitte emergono chiaramente i due fattori che pesano oggi maggiormente sull’equilibrio economico dei club professionisti: la chiusura degli stadi e il crollo del calciomercato. Se del primo si parla costantemente, trattandosi della strozzatura più visibile del rubinetto di liquidità in entrata, il calciomercato viene spesso analizzato sotto l’aspetto tecnico-sportivo più che sotto quello finanziario. In ogni caso, si tende a interpretare come un effetto della crisi finanziaria delle società, anziché come una delle sue prime cause.

     

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    Il calcio è un ecosistema complesso, in cui emerge sempre più netta la specializzazione tra campionati e poi tra club, all’interno di alcuni singoli campionati. Le fonti di ricavo per una società calcistica sono solitamente tre: gli incassi del botteghino (abbonamenti e biglietti), i diritti televisivi, il fatturato commerciale (sponsor e merchandising).

     

    Pochi campionati hanno la possibilità di realizzare utili aggregati da questa gestione tradizionale del business: la Premier League grazie a ricavi di gran lunga superiori a tutti gli altri (5,1 miliardi nel 2019/20), la Bundesliga grazie a un controllo invidiabile dei costi (soprattutto il rapporto stipendi/fatturato che - al 54% - è il più basso del continente) e poi, in parte, la Liga grazie a una buona capacità di attrazione di sponsor e agli investimenti negli stadi.

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     Altri campionati con capacità inferiore di attrarre ricavi devono ricorrere a fonti di introito diverse: la stessa Serie A ha per anni faticosamente raggiunto il pareggio dei conti solo grazie alle plusvalenze.

     

    Anche a livello di club la differenza è nettissima tra le società top, capaci di generare fatturato grazie alla visibilità internazionale del brand e grazie alla capacità di monetizzare l’appeal di grandi campioni rispetto a società che devono sistematicamente quadrare i conti cedendo i giocatori migliori ai club più importanti o nei campionati più ricchi. In tutte le catene del valore la definizione degli equilibri competitivi porta inevitabilmente a una specializzazione degli attori sul mercato, in cui ciascuno cerca di valorizzare le migliori competenze di cui dispone.

     

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    Il rapporto Deloitte segnala la contrazione nel volume di risorse investite dalla Premier League sul calciomercato nel 2019/20 rispetto all’anno precedente. Per ora questa riduzione pare piuttosto modesta (-4%) ma non è da dubitare che la tendenza si accentui nel 2020/21. Gran parte degli investimenti (1 miliardo di sterline su 1,8 miliardi complessivi) si è diretto all’estero, fornendo risorse preziose ai campionati da cui parte un flusso netto di calciatori di valore verso quello che oggi rappresenta il motore economico del calcio europeo.

     

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    Tra i club inglesi i Big Six (non a caso, quelli che inizialmente partecipavano alla Superlega) muovono da soli il 46% del volume di acquisti sul mercato, trattandosi anche di club stabilmente presenti nella top-15 dei ricavi del calcio europeo.

     

    L’altro grande fattore di sofferenza sono ovviamente gli stadi chiusi: se nel 2019/20 (con tutti gli abbonamenti venduti e due terzi del campionato giocati davanti al pubblico) la perdita in Serie A è stata di “soli” 50 milioni, nel 2020/21 l’emorragia sarà molto più consistente. Tra i grandi campionati europei l’Italia subisce il calo maggiore in percentuale (-18%) ma in termini assoluti la perdita è stata limitata soprattutto dall’atavica carenza di investimenti negli stadi.

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    Di questo problema si dovrebbe piuttosto tornare a discutere perché la ripresa degli eventi sportivi in presenza accentuerà ulteriormente il divario oggi esistente tra i campionati in grado di estrarre valore dallo stadio e quelli in cui gli investimenti restano al palo.

     

    Che non si parli da tempo del progetto San Siro è decisamente sconfortante, per le potenzialità che la metropoli lombarda potrebbe esprimere, mentre giungono dalla Capitale segnali incoraggianti sul nuovo stadio della Roma. Altri progetti (o idee) sono in fase di elaborazione a Firenze, Bologna e in altre città ma la sensazione è che si faccia pochissimo per riallineare la Serie A ai livelli di dotazione infrastrutturale necessari per competere con gli altri grandi tornei.

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