Giovanna Vitale per “la Repubblica”
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«Prima viene l'interesse del Paese». Sta tutto in queste cinque parole il senso della mediazione portata avanti da Enrico Letta, «con la massima determinazione», per scongiurare la rottura tra Giuseppe Conte e Mario Draghi. Una sorta di moral suasion a base di telefonate e whatsapp per persuadere l'avvocato a non cedere alle pulsioni anti-sistema di una parte dei Cinquestelle.
Anche perché a rimetterci - oltre all'Italia, che rischierebbe di precipiterebbe verso l'esercizio provvisorio - sarebbe proprio l'ex presidente del Consiglio. Il quale, è il ragionamento del Nazareno, se provocasse la caduta del governo, non solo smentirebbe il suo profilo istituzionale, ma finirebbe per consegnare il Movimento all'anima più barricadera impersonata da Di Battista. E non avrebbe scampo manco lì.
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Più o meno gli stessi concetti ribaditi pure da Dario Franceschini, nel corso del serrato scambio di messaggi intervenuto dopo l'avvertimento lanciato domenica dal palco di Cortona: «Se il M5S strappa non si farà alcuna alleanza alle elezioni». Offesissimo, Conte ha accusato il ministro della Cultura di voler esacerbare gli animi proprio nel momento di massima insofferenza della truppa grillina. Tracimata ieri alla Camera, dove il 5S Zolezzi ha dato della mafiosa alla dem Sabrina Alfonsi, titolare della delega ai Rifiuti nella giunta di Roma, chiamandola «assessore a Cosa Nostra».
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Avvisaglie di un logoramento nei rapporti che spingono il Pd ad accelerare sulla riforma elettorale. Gli abboccamenti, limitati per adesso al livello parlamentare, dopo i ballottaggi si sono intensificati.
Coinvolgendo, ed è questa la novità, anche Fratelli d'Italia, fin qui i più ostili alla modifica del Rosatellum. Il sistema che potrebbe convincere Giorgia Meloni a trattare è sì un sistema proporzionale, ma con robusto premio di maggioranza alla coalizione. Schema che potrebbe presentare un duplice vantaggio: consentirebbe di cancellare i collegi uninominali, da sempre fonte di feroci litigate fra alleati pur di accaparrarsi i migliori, e andrebbe nella direzione di garantire, la sera stessa delle elezioni, chi ha vinto e chi ha perso.
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«Per noi, questo è un punto imprescindibile», conferma Ignazio La Russa, ricordando come fu proprio lui, «cinque anni fa, a presentare un emendamento, purtroppo poi bocciato, per assegnare un premio di maggioranza alla coalizione che avesse raggiunto il 40%». Ma arrivare a un accordo - lo sa anche il Pd, che invece preferirebbe un premio al primo partito per non essere costretto in una coalizione forzata - non sarà facile. «A me piacerebbe molto poter migliorare questa legge», conclude infatti La Russa, «ma credo che alla fine non se ne farà nulla perché con materie complesse come questa, si sa da dove cominci ma non dove finisci».
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I dem sono tuttavia decisi ad andare in fondo. Se persino Romano Prodi, che a Metropolis si spinge a dire che «Tutto è meglio del Rosatellum, anche un proporzionale con preferenze che almeno dà un minimo di potere all'elettore. Ma ieri è stato categorico sul campo largo: «Con la scissione Di Maio-Conte non c'è più: c'è un campo senza recinti che va ridisegnato se questo è il massimo che si può ottenere», significa che è giunta l'ora di provarci sul serio. Aprendo la discussione in Aula per verificare chi ci sta.