Cristina Taglietti per il “Corriere della sera”
harold bloom
È stato tra i critici letterari più influenti al mondo, sicuramente il più autorevole (e controverso) dell’America del Novecento e di questi primi anni Duemila. Harold Bloom, nato a New York nel 1930, scomparso ieri in un ospedale di New Haven, in Connecticut, era una celebrità, oltre che una straordinaria penna critica, usata sempre nel nome del coraggio e delle scelte.
Aveva tenuto l’ultima lezione lo scorso giovedì, giorno dell’assegnazione dei premi Nobel 2018 e 2019, un riconoscimento verso cui fu spesso critico attraverso memorabili stroncature. «L’hanno dato a ogni idiota di quinta categoria — disse —, da Doris Lessing, che ha scritto un solo libro decente quarant’anni fa, e oggi firma fantascienza femminista, a Jean-Marie Gustave Le Clézio, illeggibile, a Dario Fo, semplicemente ridicolo». S
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troncò anche Toni Morrison, con cui pure erano vecchi amici, dicendo che dopo Amatissima aveva scritto solo supermarket fiction, perseguendo una crociata socio-politica». Per oltre sessant’anni docente a Yale (che ieri ha dato la notizia, insieme alla moglie Jeanne), ha scritto oltre quaranta opere tradotte in tutto il mondo. Negli ultimi anni insegnava a casa sua perché la salute non gli permetteva di recarsi al campus, ma non aveva mai abbandonato il magistero.
«Cinquantacinque anni trascorsi come docente di Letteratura a Yale — scriveva nel 2011 in Anatomia dell’influenza — hanno insegnatoame più di quanto io sia in grado di insegnare agli altri. Ciò mi rattrista, ma continuerò a svolgere questa attività finché potrò perché l’insegnamento mi sembra il compagno inseparabile della lettura e della scrittura. A ottant’anni è difficile separare l’apprendimento dall’insegnamento, la scrittura dalla lettura». Critico con le tesi femministe, marxiste e post-strutturaliste che per anni hanno dominato nelle università, non solo in America, aveva fatto di William Shakespeare il suo faro, o meglio, come lui stesso scrive in Anatomia dell’influenza, la sua vera ossessione, a cui dedicò molti dei suoi saggi, tra cui Shakespeare. L’invenzione dell’umano, pubblicato in Italia da Rizzoli, come tutte le sue opere. Lo definì «lo scrittore degli scrittori», «Dio», «l’insuperabile».
harold bloom
«Insegnando William Shakespeare, si insegnano la coscienza, la gamma dell’amore, della sofferenza, della tragedia famigliare». Pose il Bardo, insieme a Dante, al centro de Il Canone Occidentale (1994), il suo saggio di maggior peso, tradotto in quarantacinque lingue e bestseller in molti Paesi, che lo ha trasformato in un’ icona culturale. Il volume stabilì gerarchie e valori fra i grandi libri della tradizione letteraria occidentale: da Molière a Goethe, da CervantesaTolstoj, Bloom raccontò i ventisei autori, prosatori e drammaturghi che hanno fondato il nostro modo di leggere, scrivere e pensare, «perché — spiegò — tutti hanno, o dovrebbero avere, un elenco di libri da leggere in vista del giorno in cui, fuggendo dai nemici, faranno naufragio su un’isola deserta». Nonostante Il Canone Occidentale fosse un’opera profondamente personale, controversa, discussa, il libro della svolta era stato già L’angoscia dell’influenza (1973), in cui Bloom sosteneva che la creatività è una lotta freudiana in cui gli artisti negano e distorcono i loro antenati letterari mentre producono opere che rivelano un debito inconfondibile. Una teoria che è stata infinitamente dibattuta e messa in discussione, anche dallo stesso Bloom che tuttavia lo definì «una disperata difesa della poesia e una protesta contro l’eventualità di essere assorbiti da un’ideologia».
Shakespeare
Aveva una cultura enciclopedica, leggeva in greco ed ebraico — anticoemoderno — in latino, yiddish, inglese, francese, spagnolo, tedesco, portoghese e italiano, era molto critico con gli autori contemporanei americani che lo rispettavano e temevano. Tra i pochi, amava Philip Roth (considerava Pastorale americana e Il teatro di Sabbath i suoi capolavori), Cormac McCarthy, Thomas Pynchon e Don DeLillo. Detestava J.K. Rowling e Stephen King, mentre pensava che J.D. Salinger, che pure apprezzava, non sarebbe resistito al tempo.
Ne Il libro di J ha messo in discussione il lavoro di bibliologi e critici della Bibbia sostenendo la provocatoria tesi che il libro sacro fosse opera di una donna. Al pari dell’Amleto di Shakespeare, Dio sarebbe un «personaggio letterario» nato dalla fantasia di una raffinata scrittrice vissuta durante il regno di re Salomone; e la stessa Bibbia, la parola antica su cui si è fondata la civiltà occidentale, sarebbe un’opera altrettanto «letteraria» come quella di Dante, Wordsworth, Melville e Kafka. Bloom ha anche curato la pubblicazione di molte antologie, scritto saggi e prefazioni ad altre centinaia di edizioni di opere letterarie, in versi e in prosa. È morto come ha vissuto: studiando.
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