Guido Santevecchi per il "Corriere della Sera"
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Festa nella casa di Pechino di Kris Wu, famoso cantante e attore. Si beve molto. Tra le tante ragazze invitate una minorenne, stordita dall'alcol, si risveglia il mattino dopo nel letto di lui. Dopo qualche mese la studentessa denuncia la violenza sessuale, escono dall'ombra altre 24 accusatrici che raccontano di aver subito nel corso degli anni lo stesso trattamento finito in stupro.
Violenze e ricatti sessuali nel mondo delle celebrità in Cina di solito sono ancora coperti da omertà, connivenze e dubbi dalla stampa statale e dalle autorità: sono le vittime che osano parlare a finire nei guai, isolate socialmente, a volte portate in giudizio per diffamazione.
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Decine di militanti femministe sono finite in carcere in passato. Questo caso sembra aver finalmente aperto la diga. Sul web è partito l'hashtag GirlsHelpGirls, che sembra potersi imporre come la versione mandarina di MeToo. Lui è Kris Wu, 30 anni e 50 milioni di follower, esordio come cantante in una band coreana, poi solista, attore e modello. La serie di denunce ha portato nel giro di due giorni alla condanna mediatica dell'idolo.
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Una dozzina di brand internazionali e cinesi che usavano il volto di Kris Wu hanno troncato i contratti pubblicitari: Porsche, Bulgari, L'Oréal, la birra Tuborg, il colosso dei video Tencent; Louis Vuitton, che ha solo sospeso la sua campagna pubblicitaria in via precauzionale, è stata criticata per non averla cancellata definitivamente. La punizione commerciale dovrebbe costare a Wu 500 milioni di yuan, 65 milioni di euro, scrive la stampa di Pechino.
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La prima accusatrice, Du Meizhu, che ora ha compiuto 19 anni, dice che era stata invitata alla festa dall'agente di Wu con la promessa di un aiuto per la sua aspirazione di fare l'attrice: «Era una trappola, mi hanno dato molto da bere... poi mi sono ritrovata nel suo letto. In seguito, parlando con altre ragazze, ho saputo che quella era la loro tattica». «Lo odio per quello che mi ha fatto, lo odio tanto che digrigno i denti nel sonno, odio anche me stessa, al punto che in questi mesi ho pensato al suicidio».
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Lui nega. «Non c'è stato sesso forzato! Non c'erano minorenni! Rilassatevi, se fosse successo mi chiuderei da solo dietro le sbarre», ha scritto in un post su Weibo, giocando sul fatto che in Cina l'età del consenso è a 14 anni. Il fiume dei commenti però lo condanna: «Non c'era consenso». E, soprattutto, lo scomunica la stampa statale. Il Global Times del Partito comunista titola sulla campagna #GirlsHelpGirls (l'hashtag è nato in inglese), osserva che «la giustizia deve fare luce», ma osserva che 25 ragazze non possono essersi inventate l'accusa di stupro.
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Il giornale coglie l'occasione per mettere in guardia contro lo star system alimentato dai social network: «Ora bisogna anche riflettere sull'adorazione delle star che fondano il loro successo sull'immagine costruita sui social network piuttosto che sul talento artistico».
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La notizia è stata commentata in un editoriale sul sito della Tv statale, quindi con il timbro del Partito: «Prima di diventare artista, bisogna comportarsi da esseri umani. Per l'uomo la virtù viene prima di tutto, l'artista ha una responsabilità sociale. La vicenda di Wu Yifan (questo il nome all'anagrafe di Kris, ndr ) non è più solo gossip, ma un grosso caso giudiziario che impegna le autorità competenti a indagare in quel mondo, perché di recente delle celebrità dello spettacolo hanno seminato una scia di immoralità, consumo di droghe, violenze, sfruttamento della prostituzione». Toni da crociata, ma meglio del silenzio omertoso
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