Raffaella Silipo per ''Tuttolibri - La Stampa''
ALDO CAZZULLO E FABRIZIO RONCONE - PECCATI MORTALI
I peccati di una città eterna non possono che essere immortali. Sempre gli stessi, dai tempi di Tigellino, feroce capo della guardia pretoriana di Nerone, con un passato gaudente da gestore di ippodromi. Peccati indubbiamente capitali: la sete di potere e quella di denaro, la lussuria che acceca e l’invidia che avvelena, la gola smodata ma soprattutto il cinismo pigro, la terribile accidia che impedisce di sognare e costruire un futuro diverso.
Quando si dice perseverare è diabolico: Roma è «un grande paravento » dietro cui si nascondono magnificenza e disperazione. Dove da millenni la Grande Bellezza va a letto con Suburra, per poi farsi due spaghetti alla gricia. Peccati immortali. L’affresco capitolino di Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone è un thriller talmente ricco di particolari da ubriacare, la descrizione implacabile di un girone dantesco che affonda le sue spire in una capitale più vera del vero, tra Camera dei deputati, campo rom dell’Anagnina e tribuna dell’Olimpico, post di Dagospia, tatuaggi e cravatte di Marinella.
Cronache di fantapolitica ben poco fantastica: con preveggenza inquietante i due autori hanno immaginato al potere lla traballante alleanza tra Pd e Popolo dell’Onestà, dopo la caduta di Salvini (colpa di una nave di migranti affondata al largo della Calabria) e la decisione di Renzi di fondare, guarda caso, un nuovo partito: Avanti. Il peccato che dà il via all’azione è la lussuria del cardinale Michelangelo Aldovrandi, «alto, potente, sprezzante», un principe della Chiesa che sa «far piangere, ridere, pensare; e spaventare, se veniva».
aldo cazzullo (2)
Quando viene trovato morto, in tasca ha un telefonino con quattro foto di un’orgia. Nelle foto appare anche uno dei due leader del Popolo dell’Onestà, il giovane ministro Dario Gianese «bello, alto, occhi chiari», nato in Germania da operai calabresi. Il superbo Gianese pecca di hubris e condivide la leadership del partito con il lombardo Andrea Ferro, più basso e «precocemente calvo», roso da un’invidia che gli fa marcare stretto il collega: «Non ti lascio solo, sono la tua ombra, il tuo incubo».
cazzullo legge il libro di roncone
Ma Ferro non è, naturalmente, il solo interessato alle foto compromettenti del suo rivale, che possono far saltare il governo e il Vaticano. Nella caccia che si scatena, una dopo l’altra cadono le teste dell’avido notaio faccendiere Angelo Maria «Bubi» Brufani e dello statuario capo della mafia nigeriana Kisingo, pieno di rabbia per la sua gente perchè «non è vero che il sangue dei bianchi è uguale al nostro, sono una razza emofiliaca, malata. Il futuro è di quelli come me». Il che non gli impedisce di sognare una partecipazione al programma di Amadeus in tv.
A indagare sulla vicenda viene chiamato l’antiquario ex spia Leone Di Castro, un passato da infiltrato nelle Br agli ordini del killer Rudi Magliano, l’unico del gruppo che «lavora seriamente». Di Castro, «cento chili dentro una divisa da tennista », pecca volentieri di gola, il che gli ha guadagnato il soprannome di Gricia: innamorato delle cornici più che dei quadri e amante della escort Emmanuelle, «allegra e bellissima, senza sogni», Gricia trova un’improbabile compagna di indagini nella suorina colombiana Remedios, l’unica anima bella del libro, sebbene non priva di disincanto, convinta com’è che le coincidenze siano «il modo geniale di Dio di restare anonimo».
fabrizio roncone
Completa il quadro di peccatori l’accidioso Giulio Nardi, ex senatore «piccolo magro colto ed educato», uno scienziato del potere, «per tutta la vita scivolato tra il Quirinale e il Vaticano, la confindustria e la Cgil». Il sornione Nardi si assume il compito di fare da memoria storica e spiegare la complessa partita a scacchi della politica all’improvvisato Gianese, che non ha mai sentito nominare Rino Formica né Ugo Mattei o tantomeno la guerra civile spagnola, «cose di cui in rete non si parla mai».
La morale della favola nera è che non esistono santi né eroi sotto il cielo di Roma, solo uomini affamati di potere e «i meno pericolosi sono quelli che non lo dissimulano». A vincere è ancora una volta la città eterna del compromesso, sospesa tra le volée di Adriano Panatta, le note di Tommaso Paradiso e il fantasma sogghignante di Andreotti. Nessuna salvezza prevista, «il diavolo, mia cara, è sottovalutato ». In attesa del Giudizio Universale, l’unica è smezzarsi un tiramisù.