Fabrizio Massaro per il “Corriere della Sera”
PANDEMIC BOND
C' è anche una finanza che scommette sui virus: è quella dei «pandemic bond», le obbligazioni sulle pandemie. Non c' è niente di complottistico: è uno strumento creato dalla Banca Mondiale nel 2017 per avere capitali pronti per Paesi in emergenza sanitaria, nel caso di diffusione globale di influenza, coronavirus (come la Sars e la Mers) o filovirus (Ebola).
L'intento è lodevole: solo che il meccanismo, che ha raccolto 320 milioni, più altri 100 in derivati, da investitori internazionali (al 70% europei), non funziona. Non ha funzionato nel 2018 con l' epidemia di Ebola; e non sta funzionando con il coronavirus che provoca migliaia di vittime. Eppure la Banca Mondiale (più precisamente, il suo braccio finanziario per le epidemie, il Pef) paga interessi molto alti, dal 7% al 12% circa l' anno agli investitori, per disporre di questa «assicurazione».
PANDEMIC BOND
Non funziona per l'astrusità delle regole del bond, a sua volta diviso in due categorie, o classi (la A, meno rischiosa, e la B, più speculativa). Le clausole sono molto stringenti e poco coerenti con le necessità di denaro immediato. Per esempio serve un certo numero di morti - 2.500 in un Paese e 20 in un altro - perché la malattia possa essere definita «pandemia». E serve che venga dichiarata dall' Oms entro 84 giorni dal primo caso.
PANDEMIC BOND
Ora le condizioni ci sarebbero. Tanto che le quotazioni dei bond, che scadono a giugno, stanno crollando. Se si ritardasse oltre metà aprile nella dichiarazione di pandemia, il Pef dovrebbe dover restituire i 320 milioni agli investitori, che hanno anche incassato decine di milioni di interessi. E chi ha bisogno di soldi e aiuto, dovrà cercarli altrove. E comunque, anche se arrivassero, sarà troppo tardi: perché sarebbero serviti prima, per contenere la pandemia.