OBRIST - VITE DEGLI ARTISTI VITE DEGLI ARCHITETTI
Camillo Langone per “il Giornale”
Nel campo dell' arte, chi più felice di Hans Ulrich Obrist? Innanzitutto ha avuto la fortuna di nascere a Zurigo, che per chi si occupa di faccende artistiche è posto migliore non solo, com'è ovvio, di Zingonia o Zagarolo, per citare località italiane con la Z, ma pure di Roma o Milano, per citare le due maggiori città italiane, molto più grandi della maggiore città svizzera eppure meno propense a spender quattrini per pitture, sculture e installazioni contemporanee.
Hans Ulrich Obrist
Poi ha scelto di fare il curatore e non il critico, profilo giù di moda e per giunta rischioso: il critico come dice il nome è tenuto a criticare, esprimere giudizi, stabilire gerarchie, ossia a farsi un mucchio di nemici. Mentre il curatore, sempre come dice il nome, ha qualcosa dell'infermiere, del badante, dell'assistente per artisti bisognosi di sostegno, e fingendo di servire si fa servire da tutti. E con tutti, o quasi tutti, riesce a mantenere buoni rapporti.
Obrist per documentare i suoi incontri con gli artisti ha molto felicemente scelto la forma della conversazione e non quella del saggio, che presuppone molto studio, né quella dell'intervista, che presuppone molta regola. Niente lunghezza fissa, niente domande secche, niente risposte asciugate, niente distanza professionale. Solo chiacchiere a ruota libera come fra vecchi amici.
Hans Ulrich Obrist
«Felix Gonzalez-Torres pensava che fosse troppo formale starsene seduti in uno studio televisivo: era meglio cercare una situazione più informale per i nostri colloqui, registrarli come se fossimo in un bar». Detto fatto: da quel giorno Obrist conduce i suoi amabili conversari nelle hall dei grandi alberghi, nei migliori ristoranti e per l'appunto nei bar, preferibilmente leggendari come il parigino Café de Flore.
Bella la vita. Siccome ha una spiccata tendenza verso i ricchi&famosi, si sospetta che a pagare il conto dei locali non sia lui. Curatore e invitato ossia di bene in meglio: gli può anche capitare l' occasione di un tuffo nella piscina privata dell' art-vip di turno.
david hockney 8
In Vite degli artisti, vite degli architetti (Utet) l'occasione è a pagina 25 e naturalmente siamo a casa di David Hockney che di piscine è uno specialista. Il grande pittore inglese è una delle motivazioni d'acquisto di questo libro voluminoso e tuttavia solo punta dell'iceberg rappresentato dal mostruoso archivio obistriano («Attualmente ho circa 2 mila e 500 ore di registrazioni»): un'altra si chiama Gerhard Richter, un' altra ancora Richard Hamilton.
Sono loro, gli artisti, i veri critici. Basta farli parlare e qualcosa di interessante viene fuori. Hockney smonta il mito romantico di Caravaggio facendone un ipertecnico anticipatore di photoshop: «Ha usato una tecnica simile al collage, più lo studi più diventa evidente, anche solo per le proporzioni delle cose. In questi quadri la testa o la mano sono troppo grandi, o c'è troppa distanza fra testa e spalla; e da queste cose che ti rendi conto che è tutto un collage».
RENZO PIANO ZIZZI ACCAME
Hans Ulrich Obrist
Per Hockney, maniaco di esperimenti ottici, sono parole di elogio però a qualcuno verrà uno sturbo leggendo che l'aggettivo più adatto a Caravaggio è «hollywoodiano», come stessimo parlando di un esperto di effetti speciali.
Vite degli artisti, vite degli architetti si dichiara libro vasariano eppure Vasari è quasi solo nel titolo: tanto per cominciare lo storico cinquecentesco scriveva soprattutto di defunti, coi quali fare conversazione risulta difficile.
gerhard richter ema
Che l'ultracosmopolita Obrist abbia eletto un antico toscano a punto di riferimento è una consolazione, però magra, visto il disinteresse per tutto il nostro contemporaneo: nell'antologia di diciannove conversazioni c' è un cubano, c' è un sudafricano, c' è un' iraniana, c' è un' irachena (ovviamente Zaha Hadid), c' è una serba (altrettanto ovviamente Marina Abramovic), ma un italiano (se non vogliamo considerare tale l' altoatesino e subito inglesizzato Gilbert Prousch) non c' è.
RENZO PIANO - ZENTRUM PAUL KLEE
Renzo Piano viene citato per essere stroncato: «Quando ho visto il suo «Zentrum Paul Klee» a Berna, che assomiglia a un ippodromo, l' ho trovato semplicemente orribile. Non ha nulla a che fare con Klee; lo si può riempire con qualunque cosa. Chiunque diventa presuntuoso, se non gli si pongono dei limiti».
Il virgolettato non è dell' acritico Obrist, lui non si permetterebbe mai, bensì di Gerhard Richter. È il capitolo più interessante, sono imperdibili le pagine dove il superlativo pittore tedesco si rivela sperimentatore in pittura e conservatore in tutto il resto e dunque avverso al decostruttivismo e ateo devoto, ammiratore di una «dottrina cristiana ben più saggia delle ideologie che promettono il paradiso su questa terra».
renzo piano (2)
Infine è da leggere il capitolo di Richard Hamilton, anch' egli nemico delle archistar: «Quando ho visitato per la prima volta il museo di Richard Meier a Barcellona mi è sembrato davvero terribile che un architetto presentasse quel palazzo al mondo dell' arte come un luogo dove mostrare dipinti». Hans Ulrich Obrist è proprio fortunato: nonostante faccia domande neutre, allineate, artisticamente corrette, gli artisti gli danno risposte succose.
Hans Ulrich Obrist