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caltagirone donnet
All'inizio fu Enrico Cuccia, il manager a capo di Mediobanca che era anche l'uomo che comandava sul potere economico italiano, che si poteva permettere di dare ordini a Gianni Agnelli e mandò Cesare Romiti a fare l'amministratore delegato al posto del fratello Umberto.
Un manager modello ''qui comando io'', che nel corso nel tempo si è moltiplicato. E oggi in Italia il governo dei grandi gruppi si è trasformato. Dal capitalismo familiare, in cui i patron e i loro eredi, questi spesso senza successo, comandavano sulla ''roba'', al cosiddetto CEO capitalism, da Chief Executive Officer.
In italiano si dovrebbe dire amministratore delegato, ma non è un caso se molti dirigenti di casa nostra preferiscono quelle tre letterine americane. Vuoi mettere una locuzione che si traduce letteralmente con ''ufficiale capo con poteri esecutivi'', rispetto a un vecchio termine civilistico che ogni volta ricorda come quei poteri sono meramente ''delegati'' dal consiglio di amministrazione e dunque possono essere tolti in qualunque momento?
PHILIPPE DONNET ALBERTO NAGEL
Il fenomeno è ovunque: nelle banche e nelle aziende private, dove gli storici proprietari sono sempre più diluiti (o proprio spariti), e persino nelle controllate pubbliche, dove il CEO dovrebbe rispondere a moltissimi azionisti: al governo, a sua volta delegato dal Parlamento, e ai cittadini.
I moderni manager che si sentono padroni vedono gli azionisti come una seccatura, qualcuno da tenere buono, tanto che è nato un termine per definire i soci che osano mettere il becco nella gestione: activist shareholder.
philippe donnet gabriele galateri di genola alberto minali
Il vecchio capitalismo è andato in naftalina. Mustier in Unicredit, Gubitosi in Tim, Messina in Intesa, Nagel in Mediobanca, Donnet in Generali, Descalzi in Eni, Starace in Enel. Comandano loro. Non rispondono più alle vecchie fondazioni né alle associazioni di azionisti.
Gli unici che gli piacciono sono i fondi d'investimento. Perché hanno in testa solo il dividendo. E finché glielo dai, sono contenti e non si intrufolano nella gestione. In genere poi acquistano quote limitate di capitale, quindi possono fare poco rumore.
E qui veniamo all'ultimo, lampante caso: l'ingresso di Generali nel capitale di Cattolica Assicurazioni. L'operazione è stata annunciata a sopresa a tarda sera, dopo un consiglio di amministrazione che ha visto l'assenza pesantissima di Francesco Gaetano Caltagirone e di Leonardo Del Vecchio, che insieme hanno circa il 10% delle assicurazioni triestine.
Leonardo Del Vecchio
Un segnale netto della contrarietà dei due all'operazione. E non solo perché il CEO Philippe Donnet è stato così gentile di non alzare la cornetta e consultare due soci che hanno sborsati milioni di euro per le loro quote, ma soprattutto perché Calta e Del Vecchio sono convinti che l'operazione sia sbagliatissima.
Dicono: ma si può sborsare la sommetta di 300 milioni subito e 200 come opzione, per una compagnia ''destrutturata'' come la Cattolica?
E poi: Donnet nel suo piano industriale aveva annunciato di voler ''crescere all'estero'', invece compra in Italia. Come mai? Forse perché il business nel nostro Paese di Generali va. Certo, Cattolica ha in pancia l'1% di Ubi che fa gola a Messina e Nagel.
CATTOLICA ASSICURAZIONE
L'operazione su Cattolica doveva farla Cimbri di Unipol, che aveva parlato con i referenti di Warren Buffett in Italia, che detengono il 9%. Ma la trattativa è andata per le lunghe e a quel punto Nagel ha rassicurato Cimbri: arriva Generali.
Il boss di Cattolica, Bedoni, protagonista del defenestramento dell'ad Minali, reo di volerla trasformare in SpA, aveva capito che con Unipol, via Opa, Cattolica sarebbe stata inglobata, e lui sarebbe sparito dai giochi.
Invece Donnet gli ha fatto credere che restano intatti il marchio e pure la sua poltrona. Poi, ovviamente, chi crede che ciò duri a lungo, è molto ottimista…
Bedoni
Però ai due miliardari del Vecchio Capitalismo, questa mossa non è proprio piaciuta, tanto che starebbero pensando a una nuova strategia per farla pagare cara a Donnet. Cioè difar incetta di titoli del Leone e salire fino al 20% di Generali, insieme all'altro socio italiano (Benetton), così da superare il 13% di Mediobanca e comandare davvero sul Leone, rispedendo Donnet a Parigi.
Questa idea non piacerebbe a Sergio Erede, l'avvocatone che segue Del Vecchio nella sua scalata a Mediobanca. Non si può cambiare strategia ogni dieci minuti. Se il piano era salire al 20% di Piazzetta Cuccia e da lì andare (con apparente calma) all'assalto di Generali, ora non si può ribaltare tutto.
Soprattutto visto che nella lettera alla Bce la Delfin di Del Vecchio ha promesso di non mettere mano al management di Mediobanca. Erede consiglia di aspettare l'ok della Banca Centrale e di restare ''manzi''. I due sono un po' frollati, e non intendono aspettare troppo a lungo, soprattutto se Donnet continuerà a fare mosse senza il loro consenso.
Sergio Erede
Anche perché è stato proprio il CEO a voler cambiare lo statuto delle assicurazioni nel pieno del lockdown, introducendo la possibilità per il board uscente di ''scegliersi'' i prossimi candidati al cda, proponendo una propria lista.
Adesso bisognerà vedere che succede. Perché se tra gli azionisti Cattolica non si arriva all'adesione altissima prevista (90%), i due vecchi miliardari potrebbero manifestare in modo ancor più rumoroso il loro dissenso votando in assemblea contro l'operazione di Donnet…