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    IL CINEMA DEI GIUSTI - CAPISCO PERCHÉ "LICORICE PIZZA” PIACCIA TANTO AGLI SCENEGGIATORI ITALIANI E A CHI VORREBBE FARE UN ALTRO TIPO DI CINEMA RISPETTO A QUELLO CHE SI FA QUI. È TALMENTE LIBERO, PIENO DI IDEE, DI NON COSTRIZIONI DI PRODUTTORI CHE CERCANO DI FARE UN MINIMO INCASSO – MA CAPISCO ANCHE I DUBBI DI MOLTI ALTRI SPETTATORI. EFFETTIVAMENTE GIRA UN PO’ A VUOTO E I PUR STREPITOSI CAMEI DI GRANDI STAR SLABBRANO LA STRUTTURA NARRATIVA DEL FILM. DETTO QUESTO, SE VI LASCIATE UN PO’ ANDARE, VEDRETE CHE UN PO’ DEL FASCINO DELLA SAN FERNANDO VALLEY DEL 1973 VI ARRIVERÀ E VI COINVOLGERÀ - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Ora che ho finalmente visto “Licorice Pizza”, L.P. come Long Playing, l’ultimo film di Paul Thomas Anderson, forte di tre nomination agli Oscar, miglior film-regia-sceneggiatura originale, nessuna andata a buon fine, così pieno di musica meravigliosa del 1973 (da “Peace Frog” dei Doors a “Barabajagal” di Donovan) capisco perché piaccia tanto agli sceneggiatori italiani e a chi vorrebbe fare un altro tipo di cinema rispetto a quello che si fa qui.

     

    E’ talmente libero, pieno di idee, di possibilità, di non banalità, di fluidità, di contraddizioni, di non costrizioni di produttori che cercano di fare un minimo incasso (“Mettemoce Favino o Giallini o Borghi o Marinelli”). Ma capisco anche i dubbi di molti altri spettatori non interni ai problemi di sceneggiatura.

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    Una serie di lamentele che vanno dal fatto che i due protagonisti, il giovanissimo Cooper Hoffman, figlio del compianto Philip Seymour Hoffman, attore feticcio di Paul Thomas Anderson, e la più matura Alana Heim, musicista, hanno così poco appeal. Ma anche che la sceneggiatura va da tutte le parti e non si capisce bene cosa si stia seguendo.

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    E quando arriva Bradley Cooper nei panni del produttore Jon Peters completamente svitato salta qualsiasi cosa. Bum! Alzo le mani. Tutto vero. Come è vero che, forse, per apprezzare al meglio il film, avremmo dovuto frequentare la San Ferdinando Valley del 1973. O saperne comunque qualcosa.

     

    Beh, anche se nel 1973 non frequentava la San Fernando Valley e davvero mi dispiace molto, mi trovavo tra Genova e Napoli a studiare architettura pur tradendola tutti i giorni col cinema, trovo però che il film è girato con una fluidità di ripresa, una grazia, una leggerezza che pochi altri registi possono vantare. Ha una galleria musicale meravigliosa, una ricostruzione delle strade, dei cinema, dei locali accurata come quella della Los Angeles di Quentin Tarantino per “C’era una volta a… Hollywood”.

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    I due protagonisti, il Gary Valentine quindicenne di Cooper Hoffman che sogna in grande, da piccolo imprenditore americano, e la venti—qualcosa Alana Kane di Alana Heim, che non sa decidersi su cosa fare della sua vita, chi amare, ha pure trovato un simil-fidanzato laico che la sua famiglia super-ebrea non gradisce.

     

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    (“Sei circonciso? Alora sei un cazzo d’ebreo!!”), sono due personaggi buffi, divertenti, pieni di vita. Il problema, magari, è che fra di loro non succede molto, perché tutto gira attorno a un sentimento che sappiamo da subito che si consoliderà solo alla fine del film, e allora ci sembra che il film giri un po’ a vuoto.

     

    Effettivamente gira un po’ a vuoto e i pur strepitosi camei di grandi star di Hollywodd che fanno le star di Hollywood, Sean Penn, Tom Waits e, soprattutto, Bradley Cooper, ci intrattengono benissimo, è vero, ma slabbrano la struttura narrativa del film. Struttura che, forse, vuole proprio essere così. Libera. Pronta a diventare altro.

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    Per questo, magari, c’è la dedica finale a Robert Downey Sr, regista del non dimenticato “Putney Swope”. Lo spettatore allora, al di là delle frustrazioni di chi fa cinema in Italia che adora vedere un film così senza regole, non sa bene a cosa attaccarsi per seguire al meglio un film che sa che dovrebbe piacergli, ma che forse ha già visto (“Vizio di forma”?), ambientato in un mondo lontano e non così facile per noi.

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    Detto questo, se vi lasciate un po’ andare, vedrete che un po’ del fascino della San Fernando Valley del 1973, dei suoi colori e della musica del tempo vi arriverà e vi coinvolgerà. L.P. come Long Playing come Licorice Pizza. “Goo goo, goo goo barbajagal was his name now”. Nel titolo c’è tutto il film. In sala.

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