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Marco Giusti per Dagospia
Con 11 nominations agli Oscar, e nominations potenti, miglior film, regia, sceneggiatura, protagonista e non protagonista, arriva giovedì nelle sale italiane questo divertente, grottesco, eroticissimo, pieno di invenzioni visive, ottime-buone-ma anche di cattivo gusto, e pieno di invenzioni narrative, direi quasi tutte molto buone, anche se un filo già viste, “Poor Things/Povere creature”, ultimo film di Yorgos Lanthimos.
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Già Leone d’Oro a Venezia, scritto da Tony McNamara, lo sceneggiatore di “La favorita”, tratto dal romanzo dell’inglese Alasiar Gray, da poco scomparso, che ritengo favoloso sentiti i dialoghi strepitosi (perfino la cameriera che battezza come “hairy bussiness” la sua topa) e accompagnato, esattamente come ne “La favorita”, dalla fotografia piena di vita di Robbie Ryan e da una interpretazione da Oscar di Emma Stone, una sorta di Barbie/Barbara Steele che deve molto al bianco e nero di Mario Bava.
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Per non parlare di un cast di altissimo livello, con un meraviglioso Dottor Frankenstein di Willem Dafoe, il libertino Duncan Wedderburn di Mark Ruffalo, candidato all’Oscar come non protagonista, il recupero addirittura della trasgressiva Hanna Schygulla (rivedetela ne “Il matrimonio di Maria Braun” di Fassbinder su Mubi), nel ruolo di una vecchia signora intellettuale che non scopa da vent’anni, il cameo di Margaret Qualley e quella forza della natura che è Kathryn Hunter, già strega nel “Macbeth” di Joel Coen e qui la minuscola maitresse parigina tatuata e cannibale Madame Swiney.
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Il film, ambientato in una Londra vittoriana, ma anche a Lisbona, Alessandria, Parigi, è una sorta di rilettura post-femminista di Frankenstein, di Prometeo liberato, unito a una rilettura rovesciata del romanzo libertino alla “Moll Flanders”. E’ in questo mondo mischiato di generi letterari diversi, macchiato di nuove sensibilità al femminile, che la Creatura liberata, la donna perduta precipitata nel peccato, visto qui però come rinascita sessuale, dopo il suicidio per disperazione nel Tamigi, viene fatta rivivere dal Dottor “God”win di Willem Dafoe (“Crede in Dio?”- “In me o nella divinità?) col cervello del suo bambino/bambina che portava in grembo.
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E la Creatura si trasforma dalla mal sposata nobile Victoria Blessington nella vitale, intelligentissima, curiosa, sessualmente attivissima Bella Baxter, la “nuova donna” che nulla deve e dovrà mai al potere maschile dei padri-mariti-amanti-medici-scrittori-registi. Il sesso è sempre immorale, sostiene il senza sesso Dottor Godwin, che si fa chiamare God. Così, grazie alla sua sessualità non repressa dalle rigide regole della società maschile, Bella passa crescendo culturalmente da un punto all’altro della storia alla ricerca di un miglioramento che la liberi da tutte le prigionie possibili maschili.
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Se in “Barbie” si tratta lo stesso tema giocando su un giocattolo senza genitali costruito dai creatori “maschi” della Mattel che alla fine avrà come compenso per la sua rinascita la sessualità e/o l’identità che il patriarcato le aveva negato alla nascita, “Poor Things” recupera la donna schiava del maschilismo vittoriano come piena padrona di se stessa e della propria sessualità. Una cosa, insomma, che non può che far impazzire il suo amante libertino Duncan Wedderburn portandolo alla follia, mentre il suo promesso sposo, l’assistente di Godwin, il Mark McCandles di Ramy Youssef, capisce da scienziato il valore della Creatura liberata e il suo immorale miglioramento.
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Forse un filo troppo lungo, con troppi film da seguire, horror-fantasy- con qualche effetto speciale davvero modesto (le creature del Mad Doctor), scenografie fantasy non sempre riuscite (Lisbona…), il film di Lanthimos non solo offre a Emma Stone il ruolo della sua vita, che la pone dritta in cima a tutte a fianco e pronta alla notte degli Oscar, ma ragiona sui temi più innovativi del cinema attuale.
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In fondo è il tema che ritroviamo, pur meno elaborato, anche in “C’è ancora domani”… La guerra di genere, la guerra al patriarcato come in “Titane” di Julia Ducournau, la guerra di classe come in “Triangle of Sadness” o “Parasite”, la rilettura dei classici rovesciati, la ricerca di una identità. Si inizia con un suicidio da romanzo vittoriano che dovrebbe essere conclusivo, ma è invece il punto di partenza per ricominciare da zero, si parte da una sessualità esplosiva da donna emancipata e si procede con sempre minor interesse al cazzo dei clienti e una maggior attenzione alle leccate dell’amica nera e socialista del bordello.
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Lanthimos, il suo sceneggiatore e Emma Stone, che mi sembra davvero anche autore di quel che vediamo, si divertono nel picaresco erotico da graphic novel trasgressiva anni ’70, ma hanno sempre ben chiaro che attraverso la reinvenzione del personaggio di Bella e del suo cervello solo apparentemente ritardato, come in “Le farò da padre” di Alberto Lattuada, uno dei film erotici più pericolosi e malati del nostro cinema, puntano a qualcosa di più esplosivo. In sala da giovedì.
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