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    IL CINEMA DEI GIUSTI - FINALMENTE POSSIAMO TORNARE IN SALA: ‘DUNKIRK’ DI NOLAN È UN FILMONE. UNA NARRAZIONE CHE PUÒ NON PIACERE A TUTTI, MA UN INIZIO PERFETTO, UNA REGIA MINUZIOSA E UNA MUSICA ACCHIAPPONA DI HANS ZIMMER - OVVIO CHE I GRANDI FILM DI GUERRA DEL PASSATO ERANO UN’ALTRA COSA, MA QUESTO È DAVVERO UNO SPETTACOLO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    Dunkirk di Christopher Nolan

     

    Finalmente possiamo tornare al cinema. Dunkirk di Christopher Nolan, che arriverà in tutte le sale giovedì, è un filmone. Con un inizio perfetto e una costruzione narrativa che potrà non piacere a tutti, ma che alla fine funziona.

    DUNKIRK DUNKIRK

     

    Dominato dalla regia minuziosa di Christopher Nolan, dalla fotografia costruita fra 70 mm, SuperPanavision e Imax da Hoyte Von Hoytema, dalla musica acchiappona di Hans Zimmer che ingloba un celebre tema di Edward Elgar (la Variation 15), Dunkirk, trionfo assoluto al botteghino in tutto il mondo non solo rispolvera il vecchio film di guerra patriottico inglese, con tanto di trionfo del tè per ogni evenienza, ma apre finalmente un varco nella ovvietà produttiva americana che da anni non vede al di là di sequel e reboot di film coi supereroi.

     

    Sono 400 mila i soldati inglesi imbottigliati a Dunkirk nel maggio del 1940 stretti tra l’avanziata via terra tedesca e facile bersaglio della loro aviazione. Ma basterebbe il pilota Farrier di Tom Hardy, pochissime battute, faccia coperta come il Bane di Batman, che sorvola il cielo per difendere la ritirata inglese da Dunkirk, per farci piacere il film.

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    E’ vero che tutta la costruzione, coi tre luoghi diversi, la terra da dove i 400 mila soldati inglesi, rappresentati per tutti dal giovane Tommy di Fionn Whitehead, devono scappare, il mare con l’impavido Mr Dawson di Mark Rylance che con la sua barchetta parte per salvare i soldati, e il cielo dove appunto vola l’asso dell’aviazione Farrier di Tom Hardy, e coi tre tempi diversi, una settimana per la terra, un giorno per il mare, un’ora per il cielo, è alla fine un pretesto per raccontare con scene madri continue la storia della celebre ritirata dalla Francia che alla fine si dimostrerà importante come una vittoria.

     

    Ed è vero pure che, oltre a questa strepitosa tecnica di narrazione e di messa in scena, non sembra esserci un’idea di cinema. E che il 70mm Super Panavision di Tarantino è un’altra cosa. Ma tutto questo è portato a un livello così alto di complessità spettacolare che non può lasciarci indifferenti. E ha colpito perfettamente il pubblico, riportando al cinema anche i non giovanissimi. Alla faccia di Spider Man e soci. Un po’ come il Revenant di Inarritu. Grande tecnica, vecchia storia.

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    Il cinema che davvero amiamo o amavamo, una linea che va da Raoul Walsh a William Wellman, solo pensando ai war movies, era diverso. Si sa. Ma, di questi tempi, vanno benissimo anche Inarritu e Nolan, un po’ tromboni, ma capaci di grandi macchine cinematografiche. Magari a Walsh sarebbe piaciuta la concisione di Nolan, il suo comprimere il tempo, e a Wellman (La squadriglia Lafayette…) sarebbe piaciuta la ricostruzione del volo eroico di Tom Hardy.

     

    La storia di Dunkirk, che nel maggio del 1940 vide la non facile ritirata dell’esercito inglese dalla Francia sotto i bombardamenti aerei dei tedeschi, con Churchill, primo ministro da pochi giorni, che aveva capito di non poter sacrificare nell’operazione né la sua marina né la sua aviazione, come speravano i tedeschi che si apprestavano a un attacco massiccio via mare e via cielo, era già stata raccontata dal cinema.

     

    C’è un lontano Dunkirk inglese diretto nel 1958 da Leslie Norman, molto classico, con John Mills e Richard Attenborough che non lasciò grande fama di sé (l’ho visto e non me lo ricordo). E c’è un poco più recente Weekend a Zudycote di Henri Verneuil con Jean-Paul Belmondo, Catherine Spaak e Georges Geret che ha delle impressionanti scene di guerra sulla spiaggia identiche a quelli girate da Nolan, ma che sposta completamente il punto di vista dalla parte francese. Se gli inglesi si preparano, faticosamente, alla fuga via mare, per i francesi, stretti dagli invasori tedeschi, non c’è una via per il ritorno a casa.

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    Dunkirk, anzi più propriamente Dunquerque, alla francese, è un’ultima spiaggia. Il protagonista Belmondo ne è perfettamente cosciente. Se Belmondo è un soldato spavaldo, guascone e realistico, il soldatino protagonista del film di Nolan, Tommy, è l’esatto opposto. Giovane, impreparato, pauroso, assolutamente non eroico. Pronto solo alla fuga. Nolan sposta il punto di vista di Weekend a Zudycote, che ha studiato nei minimi particolari mi pare, dai francesi agli inglesi.

     

    Eliminando completamente dal film, o quasi, sia i francesi che, soprattutto, i tedeschi. Che diventano presenze nemiche invisibili. E punta tutto sui climax continui d’azione, eliminando qualsiasi psicologismo da film di guerra classico. Non ci sono cattivi o buoni. Ci sono gli eroi e i paurosi, i morti e i vivi. Che affronteranno una ritirata via terra, un’operazione di salvataggio eroica in mare, e una specie di sfida infernale tra aerei in cielo. I suoi tre protagonisti, il soldato, il vecchio marinaio, il pilota si dividono la scena e si rincorrono in tempi e luoghi diversi.

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    Al punto che quando un pilota cade in mare, come accade a Cillian Murphy, diventa parte dell’altro racconto. In qualche modo Nolan stravolge il racconto classico del film di guerra, eliminandone i tempi morti, anche se ne riprende il lato spettacolare dell’uomo di fronte al pericolo e si limita a ragionare sull’eroismo e sulla codardia. Nolan gioca con se stesso e con la sua capacità di stupirci rispettando però la realtà delle singole storie, soprattutto quella del pilota Farrier e del marinaio.

     

    Ha un serio consulente storico, Joshua Levine, e una perfetta conoscenza del cinema di guerra passato. Riempie il suo schermo di bei volti di giovani attori inglesi, da Finn Whitehaed a Harry Stiles, e affida ruoli importanti a solide presenze del cinema attuale come Tom Hardy, Mark Rylance e Kenneth Branagh per dare forza e credibilità al racconto. Come nei suoi Batman non c’è nessun romanticismo alla Tim Burton, nessuna idea di cinema che non passi dalla tecnica e dalla costruzione di montaggio. Ovvio che Walsh e Wellman erano un’altra cosa e sapevano cosa stavano filmando, ma Dunkirk è davvero uno spettacolo. 

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