Marco Giusti per Dagospia
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Gli ultimi saranno gli ultimi di Max Bruno
Ma non c’era la crisi in Italia? Gente che perdeva il posto, che non arrivava a fine mese, che usciva fuori di testa? No? Non ci ricordiamo più della crisi? Beh, almeno il nuovo film di Max Bruno, Gli ultimi saranno gli ultimi, che ha scritto assieme a Paola Cortellesi e a Furio Andreotti, fra i vari pregi, ha quello di ricordarci chiaramente che in Italia esiste ancora una crisi.
E che le donne, anzi le operaie incinte possono perdere il lavoro, che esistono paesi dove si convive con antenne dannose che portano alla malattia, che gli ultimi non saranno i primi, come ci dice la Chiesa Cattolica, ma rimarranno purtroppo gli ultimi. Perché così vanno le cose. In quel di Nemi, dove sono tutti laziali, Luciana ha un marito che fa poco e niente, Stefano, Alessandro Gassman, ma ha un lavoro in una fabbrica di parrucche.
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Un lavoro non stabile che perderà quando si ritroverà incinta, perché il padrone, Francesco Acquaroli, non se la sente di rinnovarle il contratto. Contemporaneamente, nel paese, arriva un carabiniere veneto, Antonio, interpretato da Fabrizio Bentivoglio, con tanto di vecchia madre, Ariella Reggio, che stringe amicizia con una parrucchiera, Irma Carolina Di Monte, dal sesso non chiarissimo.
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Sappiamo, dalle scene iniziali del film, che Antonio e Luciana, si troveranno alla fine ognuno con una pistola in mano pronti a sparare. E il cinema insegna che se si mette una pistola in un film, prima o poi qualcuno sparerà. Il perché lo scopriremo vedendo tutto il film, che parte come una commedia e finisce nel mélo, anche politico.
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Va detto però che Max Bruno riempie ogni situazione o quasi di annotazioni politiche sulla crisi e su come si dovrebbe reagire ai soprusi quando si è ultimi come se si fosse in un vecchio film di Luigi Comencini. E riempie questa storia, nata da una pièce teatrale che vedeva la Cortellesi sola in scena interpretare tutti i personaggi, di una serie di figure e figurine che popolano il paese con grande vitalità grazie a un lavoro di casting assolutamente strepitoso scoprendo talenti che non conoscevamo nei teatri d’Italia. E costruendo teatralmente con loro ogni scena.
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Così abbiamo, oltre alla strepitosa parrucchiera sudamericana Manuela e alla mamma del carabiniere, le buffe amiche di Luciana e i loro mariti un po’ burini. Abbiamo la dirigenza della fabbrica, il signor Finardi, interpretato da Diego Ribon, l’operaia Matilde, cioè Lara Balbo.
Accanto a questi volti molto realistici, ma non noti, si muovono perfettamente non solo i tre più famosi protagonisti, Cortellesi-Gassman-Bentivoglio, ma anche Stefano Fresi come guardiano, la sempre divertente Ilaria Spada come ragazza un po’ facile che di professione fa, come da copione, “la collezionista” (de che lo capite da soli) e un gigante del teatro come Paolo Graziosi.
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Max Bruno, se non riesce sempre a amalgamare la commedia con la drammaticità della vicenda, riesce però a amalgamare benissimo il suo cast dentro questo contesto di crisi e ne viene fuori uno spaccato d’Italia di grande potenza, soprattutto nella prima parte.
E unisce a questo, oltre al grande primo piano del sedere di Ilaria Spada e a qualche buffa battuta sulla Lazio e sulla Samp, vista come “la Lazio di Genova” (concordo), continue battute e situazioni anticlericali che ci fanno particolarmente piacere e ci riportano al cinema risiano anni ’50.
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Al punto che la vecchia mamma di Antonio sente la messa alzando la tavoletta del cesso per buffi contatti di antenne. Non è un film perfetto, ma per Max Bruno è un notevole ritorno alla commedia di pancia sulla situazione italiana, con belle battute e una recitazione di grande livello da parte di tutto il cast.
Non solo. All’interno della nostra commedia è qualcosa che ormai raramente si tenta, cioè il film politico sulla realtà che viviamo, e in questo è decisamente più forte di Viva l’Italia. In sala dal 12 novembre.
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