Marco Giusti per Dagospia
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L’idea di una Cleopatra nera, in arrivo ora come nuova serie su Netflix, in fondo, è solo un’altra vecchia storia di Hollywood. Per nulla edificante. Ci provò nell’estate del 1959 il vecchio e celebre regista di origine armene Rouben Mamoulian, da poco scacciato dal set di “Porgy and Bess” dal potente e rancoroso Samuel Goldwyn, quando il celebre regista russo aveva preparato già tutti i set, scelto i suoi attori, la strepitosa Dorothy Dandridge, già candidata all’Oscar nel 1954 per “Carmen Jones” di Otto Preminger e Sidney Poitier, che cercò fino all’ultimo di non farlo perché l’opera di Gershwin era ritenuta scorretta verso la comunità nera.
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Goldwyn aveva rimpiazzato Mamoulian proprio con Otto Preminger, che si era trovato così a dirigere la Dandridge, sua attrice, ma anche sua amante. E fu un inferno, perché Preminger fece scontare all’attrice il fatto che lo avesse lasciato. Del resto, lui non avrebbe mai lasciato la moglie e, al tempo, una relazione bianco-nero a Hollywood avrebbe distrutto entrambi.
Mamoulian, nell’estate del 1959, ha in tasca il contratto della Fox per fare una gigantesca “Cleopatra”. Ha già scelto Giulio Cesare, Peter Finch, e Marco Antonio, Stephen Boyd. Ma non ha trovato ancora la sua Cleopatra. Liz Taylor non può, ha un contratto che la lega con la MGM. Si pensa anche a Sophia Loren, Joan Collins, Audrey Hepburn, Jennifer Jones e Gina Lollobrigida.
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Ma Mamoulian, davvero piccato per aver lasciato il set di “Porgy and Bess”, quando era stato proprio lui il primo a portarla a teatro con un cast tutti di attori e cantanti neri, pensa a altro. Pensa, forte degli studi del tempo, a una Cleopatra nera che si muove in una corte molto nera. Per questo ha già fatto arrivare a Roma ballerini afro-americani famosi da ogni parte del mondo e pensa a una Cleopatra interpretata proprio dalla divina Dorothy Dandridge. Quella che per Orson Welles era la donna più sexy del mondo.
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La Dandridge, già sotto schiaffo per la terribile lavorazione di “Porgy and Bess”, dove Preminger la aveva umiliata costantemente non riprendendola nemmeno coi primi piani (il film sarà un mezzo disastro che concluderà la carriera dello stesso Goldwyn), stava vivendo sul proprio corpo il razzismo di Hollywood.
Il pubblico di tutto il mondo era impazzito per “Carmen Jones”, ma non aveva trovato fino allora i giusti ruoli da protagonista che la nomination all’Oscar, che le era stato ingiustamente rubato da Grace Kelly col terribile “La ragazza di campagna”, le avrebbe dovuto portare. In “Tamango” di John Berry le scene di sesso tra lei e il protagonista Curd Jurgens erano state tagliate nella versione americana.
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Negli Stati Uniti non si poteva ancora mostrare sullo schermo un bacio tra un bianco e una nera o tra una nera e un bianco. Si era vista soffiare per questo anche il ruolo della Regina di Saba, che era africana e nera, in “Salomone e la Regina di Saba” di King Vidor a fianco di Tyrone Power, che morirà sul set e verrà sostituito da Yul Brynner.
Le era stata preferita un’italiana, che per Hollywood significava quasi-nera, Gina Lollobrigida. Era un affronto per la Dandridge, ma il mondo, ancora, andava così. Con l’arrivo del Cinemascope e il grande sviluppo del Technicolor i grandi avventurosi, i musical, i peplum andavano forte. E qualsiasi esotismo funzionava. Ma il pubblico del Sud, che dominava il box office americano, non avrebbe mai permesso che si accostasse una star bianca a una nera.
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Per fare un esempio, in “Island in the Sun” di Robert Rossen, la storia d’amore tra Harry Belafonte e Deborah Kerr era stata talmente tagliata da rivelarsi incomprensibile. Ma Deborah Kerr era stata insultata dai bianchi del Sud. In Europa, però, tutto questo si poteva fare e circolavano già da anni film con baci e amplessi fra bianchi e neri.
Dorothy Dandridge nel frattempo si era sposata un certo Jack Denison, un “wasp” bianco molto più vecchio di lei, proprietario di diversi ristoranti a Las Vegas, che le faceva da manager e che lei non sopportava, cercava una rivincita a Hollywood. A giugno del 1959 era appena uscito “Porgy and Bess” e le avevano offerto, sembra ,“Lady Sings the Blues”, un biopic sulla vita di Billie Holliday progettato poco dopo la morte della cantante, da far dirigere proprio all’amato/odiato Preminger.
In questo momento della sua vita, il sofisticato Mamoulian invita a pranzo Dorothy Dandridge alla fine dell’estate del 1959 da Romanoff a Rodeo Drive e le propone il ruolo di Cleopatra nella sua versione nera di Cleopatra. Sarà una cosa esplosiva, molto moderna. Lei è molto chiara, non lo prende tanto sul serio e, nelle sue biografie, si legge la sua rapida risposta. “Non avrai il coraggio di fare quello che dici. Te lo impediranno”. Alludendo ovviamente ai produttori della Fox e al mondo di Hollywood.
liz taylor versione cleopatra
Mamoulian si impegna, mentre Dorothy Dandridge non sembra per nulla convinta. Anche se, magari ci spera, sarebbe una rinascita per lei, dopo la depressione in cui era ricaduta in seguito alla fine della sua relazione con Preminger. Quando pochi mesi dopo entra nel progetto Liz Taylor, che si è liberata dal contratto con la MGM e porta dentro il film il sistema di ripresa in Todd-AO di proprietà del defunto marito, Michael Todd, ogni sogno di Cleopatra nera di Mamoulian e di Dorothy Dandridge scompare.
Dopo aver spostato il set da Roma a Londra perché nell’estate del 1960 a Roma ci sono le Olimpiadi, Mamoulian inizierà a girare negli studi di Londra con Liz, Peter Finch e Stephen Boyd. Il film verrà poi interrotto per un grosso problema di salute di Liz. Si fermerà mesi, tornerà a Roma. Ma con un nuovo cast maschile, Rex Harrison e Richard Burton e un nuovo regista, Joseph L. Mankiewicz.
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Eppure qualcosa del progetto della Cleopatra nera rimarrà. I grandi balletti coi ballerini neri che erano arrivati da mezzo mondo. Per Dorothy Dandridge quello sarà l’inizio di una grossa crisi. Poco nera per i neri, troppo nera per i bianchi, Dorothy ricomincia la sua dipendenza dalla droga, dall’alcool e dagli psicofarmaci che la porteranno alla morte.
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