Marco Giusti per Dagospia
le vele scarlatte 3
Aveva molto colpito in Francia, positivamente, il bizzarro “Martin Eden” di Pietro Marcello con Luca Marinelli ambientato a Napoli. “Le vele scarlatte", che traduce l’originale “L’envol”, è un film decisamente meno stravagante e più normalizzante che Pietro Marcello ha diretto in Francia, presentato come apertura della Quinzaine nello scorso maggio a Cannes, tratto dal romanzo dello scrittore russo pacifista del 1923 Alexander Grin, adattato alla Normandia, anzi alla Picardie negli anni successivi alla Grande Guerra.
le vele scarlatte 2
Quello che ci piace di più del film, che non ha avuto le stesse accoglienze del suo precedente “Martin Eden”, è la ricostruzione del vecchio cinema storico francese con quei faccioni alla Michel Simon o alla Jean Gabin. Marcello, con la collaborazione del suo sceneggiatore di fiducia, Maurizio Braucci, e di Maud Adeline, ricostruisce infatti con grande cura un mondo ormai perduto di un secolo fa curando l’immagine, assieme al direttore della fotografia Marco Graziaplena, in modo che si amalgami nell’impasto dei vecchi filmati ricolorati della guerra e del tempo e ci rimandi a quel che ci è più vicino, cioè il cinema francese fra le due guerre che ha formato tanti intellettuali anche italiani.
LE VELE SCARLATTE
La storia è quella di un soldato, il grosso, pesante Raphael interpretato dal monumentale Raphael Thiery, una specie di Michel Simon di oggi, che torna dalla guerra nel suo paesello in Picardie, vedovo della amata moglie Marie, ma padre della bambina Juliette, che è stata cresciuta da una vicina, Adeline, Noémie Lvovsky. Raphael ha dei problemi a trovare lavoro, ma ha le mani d’oro sia come falegname che come fabbricante di giocattoli che come riparatore di pianoforti. Quando la ragazza cresce, Juliette, interpretata da Juliette Jouanno, le cose si complicano con un sub-plot mélo che prevede un bel pilota, Louis Garrel, un giovane che vuole vendicarsi e una pistola.
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Non strampalato, curioso, vitale come “Martin Eden”, ha una costruzione decisamente più tradizionale, quasi documentaristica, che porta il film verso il genere che Marcello riesce meglio a controllare, anche se a un certo punto senti il bisogno di una storia. Funziona magari meno quando cerca di trovarsi una forma tra il mélo, il favolistico, poi il musical francese tra Demy e Dumont, senza sviluppare davvero una strada. Come fosse un problema di timidezza, di non voler esagerare. Rimane però un buon film, colto, intelligente, benissimo interpretato, ben musicato da Gabriel Yared e il faccione e le manone di Raphael Thiery sono notevoli. In sala.
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