Marco Giusti per Dagospia
vincent lacoste benjamin voisin illusioni perdute
L’odore dei soldi, il rapporto fra giornali e potere, le bufale e le fake news (la bufala e la sua smentita sono due notizie” - “il giornale prenderà per vero tutto ciò che è probabile”), gli articoli comprati, l’editoria in mano agli analfabeti, gli scrittori piacioni, le recensioni di libri mai letti, le prime dove “i posti migliori sono occupati dai peggiori”, perfino il liberismo inteso come la libertà della volpe in un pollaio. Meglio di Dagospia…
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Va detto che con questo elegante e scoppiettante “Illusioni perdute” diretto da Xavier Giannoli, il regista di “Marguerite”, pensavo di trovarmi di fronte invece a un film francese un po’ polveroso che cercava di rivitalizzare i tre volumoni di Balzac scritti tra il 1837 e il 1843, poco trattati in fondo da cinema e tv.
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Giannoli e il suo bravo co-sceneggiatore Jacques Fieschi lo rendono invece una sorta di “Lupo di Wolf Street” ottocentesco ma dove già si capisce tutto del rapporto fra stampa e potere e dove il personaggio del bel Lucien Chardon, interpretato dal bonazzo Benjamin Voisin, giovane poeta di provincia, arrivato nella capitale da Angouleme per la capitale, con degli ideali che verranno presto disillusi, non si rende bene conto che è precipitato in un gioco molto più grande di lui.
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Attualizzato magari troppo, ma bisognerebbe aver letto o riletto Balzac per dirlo con proprietà, come faceva Tullio Kezich, il mondo della restaurazione dopo Napoleone, diventa qui una sorta di prototipo della società di oggi, mancano solo gli algoritmi, dove l’arrivo delle rotative è qualcosa di rivoluzionario come l’arrivo di Internet, e i rapporti di forza e le tecniche di contagio e di acquisto della gente sono clamorosamente le stesse di oggi.
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Perfino Lucien, da sempre innamorato della baronessa de Barceton, la bellissima Cecile de France, quando finalmente passerà la notte con lei, si fa comprare e Giannoli osa un’immagine pesantissima, ma giusta, dove la mano di lui coi soldi di lei sfiora il suo pisellone in primissimo piano.
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E’ l’unica concessione a una sessualità che, per quanto Lucien si sforzi di fare il romantico, ci sembra poco adatta alla sua scalata sociale se non usata come chiave di svolta. Finito a Parigi in cerca di fortuna e di un editore che pubblichi il suo romanzo di poesie, gli incontri con Gerard Depardieu-editore sono bellissimi, avviso, Lucien finisce a scrivere su un giornaletto liberale e antigovernativo, “Le corsaire-Satan”, dove stroncherà libri e personaggi del tempo con gran felicità. Ma al tempo stesso, per cercare di ricuperare il nome e il titolo nobiliare della madre, flirta con i monarchici e con il giovane e arrivato scrittore Nathan, interpretato da Xavier Dolan, che funziona anche da narratore.
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In tutto questo, scaricato dall’amante, troppo legata alla potente cugina regina dei salotti, la marchesa d’Espard, Jeanne Balibar, si mette con la stellina del varietà Coralie, Salomé Dewaels, e cerca di lanciarla come attrice drammatica in una barbosissima commedia di Racine. Giannoli è interessato, in queste due ore e mezzo di film, al tragitto di ascesa al successo e poi caduta verso il baratro del giovane eroe e delle sue illusioni perdute.
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Tutto ha un prezzo, ahimé. Complici direttori di giornali, editori, nobili doppiogiochisti, perfino agitatori di claque, il Singali di Jean-François Stevenin. Raccontando questo, Giannoli si occupa di qualcosa che ci è molto vicino e che puntualmente si è ripetuto negli anni con direttori, editori, giornalisti e amanti varie alle prese col successo e col potere economico e politico.
Magari Giannoli attualizza troppo, davvero sembra di leggere Dagospia, ma le frasi meravigliose che sentiamo in bocca al narratore e ai personaggi sono rigorosamente di Balzac. Il film, anche senza essere una signora di Prati che compra ancora tutti i giorni Corriere e Repubblica e sente Lilli Gruber, me lo sono visto con piacere. E’ scritto, diretto e interpretato benissimo. In sala dal 23 dicembre nelle maggiori città e dal 30 ovunque. O quasi.
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