Marco Giusti per Dagospia
pierfrancesco favino anna ammirati napoli new york
Partono i bastimenti, per terre assai luntane… ecco cosa mancava nelle recenti riletture sorrentiniane dei grandi miti di Napoli, dopo il munaciello, il sangue di San Gennaro, Sophia Loren, il Napoli dello scudetto. Il viaggio in mare per New York. Ne sapeva qualcosa il Mario Merola di “Lacrime napulitane”, un classico che andrebbe riscoperto. Al viaggio dei napoletani poveri verso New York ci pensa Gabriele Salvatore in questo curioso “Napoli - New York”, tratto, si legge, da un soggetto addirittura scritto nel 1948 da Federico Fellini e Tullio Pinelli con Pier Francesco Favino nel ruolo di Domenico Garofalo, come la pasta, commissario di bordo di una nave che fa appunto quella tratta.
pierfrancesco favino gabriele salvatores - napoli new york
Anche se il film ha molto poco di felliniano e nel poster vorrebbe in realtà avere qualcosa del Leone di “C’era una volta l’America”, forte è invece la napoletanità del progetto, al punto che non solo i due scugnizzi che tentano il viaggio clandestinamente verso New York, Celestina e Carminié interpretati dai bravissimi Dea Lanzano e Antonio Guerra, sembrano presi da un film di Merola, ma pure il personaggio di Favino, che si ostina ogni tanto a eduardeggiare un po’ a casaccio mentre è bravo quando passa dal napoletano all’inglese e viceversa, sembra cucito per Mario Merola.
napoli new york
Questo Garofalo-Favino ha pure una moglie, interpretata da una vera napoletana, Anna Ammirati, bravissima, anche se non canta come Angela Luce. Sarà lui l’unica davvero in grado di comunicare perfettamente coi bambini protagonisti che come tutti i napoletani, sanno recitare perfettamente.
Il film, che ha una prima parte in una credibile Napoli del Dopoguerra, distrutta, piena di signorine, contrabbandieri, mariuoli, funziona meno quando arrivano gli effetti speciali per la traversata oceanica della Victory e ancora meno di quello quando si tenta di ricostruire la Brooklyn degli anni ’50.
napoli new york
Perché Salvatores passa da una Napoli realistica del Dopoguerra a una traversata modello terza classe del “Titanic” o modello chapliniano da primi del secolo (in CGI) alla New York anni ’50 (ancora in CGI) del sogno americano e allora, fiaba o meno, Fellini o non Fellini, i conti non tornano.
Mettiamoci anche che, per liberarci dalla fedeltà storica e puntare sulla fantasia o per confonderci ulteriormente le idee, infila musica napoletana e americana che non corrisponde agli anni che sta raccontando. Un po’ una caciara. Dove può vivere tutto, le protofemministe, i giornalisti italo-americani capeggiati da un Antonio Catania che si sente Danny Aiello o Vincent Gardenia, il razzismo contro italiani e afro-americani.
napoli new york - locandina
Funzionano i due piccoli protagonisti, funziona in parte Favino quando non imita Eduardo, Anna Ammirati e mi piace molto la passerella di attori a metà tra Italia e America, da Tomas Arana a David Zed, come si faceva negli anni ’60 con gli attori americani-romani, da Eugene Walter a Edmund Purdom.
Alla fine, capisco che questo “Napoli – New York” sia uno sforzo produttivo non indifferente da parte della Paco di Isabella Cucuzza e Arturo Paglia e Rai Cinema, e capisco anche i buoni propositi di raccontare una storia dove si vedano raccontati personaggi che brillano per umanità, desiderio di accoglienza, sentimento.
Ora. Non tutto funziona, e forse si potevano fare delle scelte visive, parlo di effetti, più povere e meno stridenti, ma quello che mi piace è l’aria demodé da film napoletano col grande viaggio dei bambini verso l’ignoto. Dove l’adulto è adulto solo perché è più grande. In sala.
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