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    IL CINEMA DEI GIUSTI - A DIFFERENZA DI MOLTI FAN DEL FILM, NON È CHE POI MI ABBIA PROPRIO CONVINTO QUESTO “MADRES PARALELAS”, ULTIMA FATICA DI PEDRO ALMODOVAR. ASSOLUTAMENTE PREVEDIBILE IN TUTTI I SUOI COLPI DI SCENA, CHE AVEVAMO CAPITO FIN DALL’INIZIO AHIMÈ. LA PARTE STORICA, COME È GIUSTO, È QUELLA PIÙ FORTE E LA TIRATA DI PENELOPE CRUZ SULL’APRIRE GLI OCCHI SUL PASSATO SPAGNOLO È ACCATTIVANTE, ANCHE SE NON BELLISSIMA - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    madres paralelas madres paralelas

    Sì. Vabbè. A differenza di molti fan del film, non è che poi mi abbia proprio convinto questo “Madres paralelas”, ultima fatica di Pedro Almodovar con Penelope Cruz che ha aperto due mesi fa la Mostra di Venezia e che è stato premiato proprio con la Coppa Volpi all’attrice.

     

    È un mèlo matarazziano con venature politiche importanti antifranchiste e con altre fluide, ma castigate, assolutamente prevedibile però in tutti i suoi colpi di scena, che avevamo capito fin dall’inizio ahimè.

     

    Il tutto è rafforzato però dall’idea del recupero della memoria storica di un paese, in questo caso della Spagna e degli orrori del Franchismo, vista come un dna sullo stato di salute del presente e del futuro.

     

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    Tanto che il film si chiude, non è uno spoiler, sulla bella frase di Eduardo Galeano “Non c’è storia muta. Non importa quanto la bruciamo, non importa quanto la rompiamo, non importa quanto la inganniamo, la storia umana si rifiuta di tacere”.

     

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    Insomma, e vale un po’ anche per noi italiani rispetto al fascismo. La storia, il nostro passato, quello che abbiamo fatto e che abbiamo fatto al nostro paese, ce lo portiamo dietro comunque, e si ripresenterà comunque nel futuro. A noi stabilire in quali forme. Come una maledizione.

     

    Il passato con cui fare i conti, nel film, è ancora quello della Guerra Civile e dei centomila morti scomparsi senza una tomba che il franchismo e il postfranchismo hanno voluto oscurare come se nessuno ne chiedesse più conto. Oscurare è l’unica soluzione. No. Perché poi le cose ritornano a galla.

     

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    Penelope Cruz, la bella fotografa quarantenne Janis, in onore di Janis Joplin ovvio, morta come sua madre a 27 anni di overdose con padre sconosciuto, si innamora di un antropologo barbuto, Israel Elejalde, al quale chiede di riesumare i corpi di suo bisnonno e altri abitanti di un paesino scomparsi durante il Franchismo.

     

    Rimane così incinta di lui, che ha già una moglie, oltretutto sotto chemio, te pareva, e si ritrova sola. In ospedale incontra la minorenne Ana, la bella Milena Smit, che aspetta anche lei un figlio, senza sapere bene chi è il padre, e ha una madre ingombrante, perché attrice madrilena in cerca di ruoli importanti, Aitana Sanchez-Gijon.

     

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    Le due madri parallele si ritrovano così a partorire insieme due bambine, ma le cose non andranno come dovrebbero andare e il mélo nasce da una serie di colpi di scena che renderanno sempre più complesso e ambiguo il rapporto fra le due donne. Ripeto. Tutto prevedibile e un po’ telefonato.

     

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    Anche se Penelope Cruz e le altre attrici, compresa una scatenata Rossy De Palma, ma sono brave anche quelle che interpretano le cameriere, sono particolarmente in forma, un trans-omaggio a Raffa c’è, ovviamente, la musica di Alberto Iglesias è perfetta per il mélo e brilla la scena di sesso al ritmo di “Summertime” di Janis Joplin.

    la locandinda di madres paralelas la locandinda di madres paralelas

     

    La parte storica, come è giusto, è quella più forte e la tirata di Penelope Cruz sull’aprire gli occhi sul passato spagnolo è accattivante, anche se non bellissima. Ce lo vedremo? Ma sicuramente… In sala da oggi.

     

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