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    IL CINEMA DEI GIUSTI – NON POTRÀ CERTO LASCIARVI INDIFFERENTI “THE WHALE” DI DARREN ARONOFSKY, CON UN BRENDAN FRASER ENORME, 200-250 CHILI IN PARTE VERI E IN PARTE RICOSTRUITI – IL FILM PUNTA TUTTO SU UNA FORMIDABILE PROVA DI ATTORE DI FRASER, CHE SI È TRASFORMATO IN UN MOSTRO CHE NON RIUSCIAMO QUASI A VEDERE PER INTERO NELL’INQUADRATURA DILAGANTE E SPARSO COME È SUL DIVANO DI CASA – VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Intanto. Quando si tratta di balene, in un racconto o in un film americano, c'è sempre di mezzo "Moby Dick" di Herman Melville. Però. Preparatevi. Perché “The Whale” di Darren Aronofsky con un Brendan Fraser enorme, 200-250 chili in parte veri in parte ricostruiti, chiuso in una stanza, anzi sdraiato sul divano per due ore, che si muove con un deambulatore dove mette un ventre spropositato da balena e mangia enormi tranci di pizza “Gambino” (non pare male, gnam gnam), sia che vi piaccia sia che vi disgusti, non potrà certo lasciarvi indifferenti.

     

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    Forte di 3 nominations agli Oscar, miglior attore, trucco e non protagonista femminile, la Hong Chau già vista in “Downsizing” e “Watchmen” la serie, piacque molto anche a Venezia, anche se non riuscì a strappare nulla per il suo grosso protagonista.

     

    Costruito a partire da una commedia, ovvio, scritta e trasferita al cinema da Samuel D. Hunter, il film di Aronofsky, come accadde con “The Wrestler” trasformando Mickey Rourke in freak e star, punta tutto su una formidabile prova di attore di Brendan Fraser che si è trasformato in un mostro che non riusciamo quasi a vedere per intero nell’inquadratura dilagante e sparso come è sul divano di casa.

     

    Sappiamo dai personaggi che ruotano attorno a lui, la giovane figlia, Sadie Sink, l’amica e compagna del defunto partner, Hong Chau, un ragazzo di una setta religiosa che predica la fine del mondo, Ty Simpkins, e l’ex-moglie, Samantha Morton, che la sua vita non è stata facile e che molto si è lasciato andare per diventare quello che è diventato.

     

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    Professore d’inglese con moglie e figlioletta di otto anni, ha lasciato lavoro e famiglia quando si è innamorato di uno studente scoprendosi gay. Ma quando il suo compagno, già instabile, si è ucciso, sono cominciati i veri guai e ha cominciato a mangiare e mangiare. Diventando quello che è.

     

    Una balena spiaggiata, come la Moby Dick di Herman Melville, metafora di una vita triste e sbagliata, ma anche mostro che si autodistrugge, un uomo che campa facendo corsi di scrittura di tesine on-line dove nessuno può vedere la sua enormità.

     

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    Professore attento di letteratura inglese, sa che il suo è il punto di vista proprio della balena, quello che nel capolavoro di Melville nessuno può sapere, perché Moby Dick è pura presenza. Al di là del testo teatrale, che più o meno funziona, anche se le entrate degli attori nella casa risentono ancora molto delle tipiche entrate teatrali (tock tock-chi è?-il ragazzo delle pizze, ecc.), quello che davvero ci colpisce è la costruzione del funzionamento di Brendan Fraser gigantesco che si muove per casa o che va in bagno o che mangia o che scrive al computer.

     

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    Direi che tutta la fascinazione del film è nella messa in scena della “balena”. E Fraser fa il film. Con grande dedizione e affetto per il personaggio, tirandone fuori tutta la complessità e l’umanità. Anche se non amo particolarmente i film costruiti su tutta questa plastica e queste protesi.

     

    Ma senza questa sfida attoriale, che ricorda un po’ quella da Oscar di Gary Oldman-Churchill di "L'ora più buia" o la Charlize Theron di "Monster", non ci sarebbe film. Magari troppe volte Fraser chiede agli altri personaggi “Ti disgusto? Ti sto disgustando? Dimmelo”. Sì, ci disgusta ma è proprio per quello che stiamo vedendo il film. E’ il fascino e il suo limite. In sala da giovedì 2 febbraio.

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