Marco Giusti per Dagospia
SERGIO CASTELLITTO PUPI AVATI - DANTE
Prima di tuffarmi (vabbé) nel rinnovato Festival di Roma, mi sono detto col mio amico Ciro Ippolito che era bene fare una buona azione, come gli scout, e andare a vedere il film campione italiano di incassi del momento, “Dante” di Pupi Avati con Sergio Castellitto che fa Boccaccio, ma ha le mani piagate proprio da Padre Pio.
SERGIO CASTELLITTO IN DANTE DI PUPI AVATI
Non solo siamo andati a vederlo al Cinema Adriano di Roma al primo spettacolo, in mezzo a un folto gruppo (sei-sette) di signore, abbassando un po’ la media di età, ma lo abbiamo anche visto tutto fino alla fine, fino alle dediche ai tanti morti che il film si era trascinato dietro, come il povero Gianni Cavina, il pianista jazz Amedeo Tommasi, anche se mancava quella a Paolo Graziosi, che pure nel film sembra più vispo di Cavina.
DANTE DI PUPI AVATI
Avati, diciamo, non si fa mancare nulla. Peste, scabbia, musicona coi violini, ralenti sulle scene più sbarazzine, Dante giovane, Alessandro Sperduti, che incontra Beatrice, Carlotta Gamba, brava, battaglie storiche, come quella di Campaldino, rigorosamente in fuori campo mimate con due cavalli e du’ spadate, Beruschi che ti fa dire (“Oh! Beruschi!”), Milena Vukotic che vende una sorta di bambola assassina, Alessandro Haber che fa Haber e avevamo appena visto come Haber nel trailer del film su Caravaggio di Michele Placido, Platinette in versione Mauro Coruzzi che fa il frate che si becca una randellata sulla capoccia, Mastelloni che fa il Papa, il sederone (brutto proprio) in primo piano del marito di Beatrice la prima notte di nozze, il sedere di Dante mentre caga sul fiume (si poteva evitare?), Beatrice che in un sogno horror alla Avati mangia un cuore pieno di sangue fatto da Stivaletti, un po’ di effetti alla Mario Bava, una scopata di Dante con la donna col gozzo, Morena Gentile, la scopata di Dante e Guido Cavalcanti, Romano Ruggeri, con due signorine non proprio illibate da vecchio decameroneide. E forse davvero troppe voci narranti.
DANTE DI PUPI AVATI
C’è il Boccaccio di Sergio Castellitto, bravo, va detto, che racconta la vita di Dante mentre va dalla figlia suora di Dante a Ravenna a portargli il perdono di Firenze e dieci fiorini, c’è il racconto che fanno a Boccaccio quelli che hanno incontrato il poeta nel suo esilio e a ogni tappo nasceva un pezzo di Divina Commedia con tanto di personaggi, e c’è una voce narrante non si capisce di chi che si sovrappone continuamente alle altre.
Alla fine c’è un po’ di confusione. E’ come se Avati, pensando di fare il suo tardo capolavoro avesse voluto metterci tutto. Troppo. E al di là delle punte horror, che piaceranno ai fan di Avati, gira sia un’aria di sacrestia come in tutti i suoi film, sia un’aria di malattia e di morte che è un po’ l’aria del cinema italiano del momento.
DANTE DI PUPI AVATI
Detto questo, Castellitto mi piace parecchio, girano qua e là vecchi attori che è sempre un piacere rivedere, Mariano Rigillo, Erika Blanc, Valeria D’Obici (che fine aveva fatto?), Rita Caldana, Raffaele Curi, Eliana Miglio, Eva Grimaldi, oltre ai già citati Graziosi e Cavina, la fotografia di Cesare Bastelli ha il suo rigore, i set naturali sono belli.
dante di pupi avati
E, come in tutti o quasi i film di Pupi Avati, non c’è mai cinema, tutto è fermo e rafforzato dalla musica e sommerso dalle parole dei narratori. Ma Avati, ripeto, che ci piaccia o no, è l’ultimo regista italiano che si muova secondo un modello antico che abbiamo molto amato e questo, alla fine, ha un suo valore. Salvo non vederne solo la forma più decadente della fine del nostro cinema.
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