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    IL CINEMA DEI GIUSTI - RISPETTO AL PRIMO "TWISTER", PRODOTTO NEL 1996, IL SEQUEL "TWISTERS", VUOLE ESSERE QUALCOSA DI PIÙ MODERNO E DIVERSO. IL CAST È COSTRUITO ATTORNO A RAGAZZI DELL’ULTIMISSIMA GENERAZIONE E SECONDO LE LEGGI DI INCLUSIONE, CHE TRENT’ANNI FA ERANO UN’UTOPIA. E QUESTO LO RENDE UN FILM ASSOLUTAMENTE PIÙ GIOVANILE DEL PREVISTO - LA FOTOGRAFIA IN 35 MM RENDE LE GRANDI SCENE DI TORNADO UN VERO SPETTACOLONE. MA NON CREDO CHE UN REGISTA MINIMALISTA COME LEE ISAAC CHUNG SIA LA SCELTA PIÙ GIUSTA PER UN FILM DEL GENERE. DETTO QUESTO SI VEDE PIÙ CHE VOLENTIERI - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Quello tra gli americani poveri dell’Oklahoma e del Kansas e il vento o la furia dei tornado è un rapporto letterario molto forte che ci porta nel cuore della cultura del paese, diciamo almeno dalle parti della Dorothy e Il mago di Oz di Frank L. Baum o delle leggende di Pecos Bill o delle ballate storiche come “Riders in the Sky”. Qualcosa che fece già del primo “Twister” prodotto nel 1996 da Steven Spielberg e Frank Marshall, ideato da Michael Crichton e Anne-Marie Martin, diretto da Jan De Bont con Helen Hunt e Bill Paxton un avventuroso popolare di grande successo. Non a caso fu il primo film della storia americana a uscire in DVD.

     

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    Il secondo “Twister”, che diventa “Twisters”, sempre prodotto da Steven Spielberg e Frank Marshall, ma diretto da Lee Isaac Chung, regista del non dimenticato “Minari”, un piccolo film sugli immigrati coreani nell’Arkansas rurale degli anni ’80 dove avere l’acqua faceva davvero la differenza, pur sbandierando il nome di Michael Crichton, vuole essere qualcosa di più  moderno e diverso, ma non rinuncia certo ai legami con Dorothy, Toto, l’Omino di latta e lo Spaventapasseri, con le spacconate da cowboy e la leggenda dei Riders in the Sky.

     

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    Uomo cresciuto nel midwest, Lee Isaac Chung, che ha preso il progetto dopo l’uscita di Joseph Kosinski, che firma il soggetto, ha fortemente voluto girare tutto il film in 35 mm e sul posto, in Oklahoma, se non tra i veri tornado, almeno nei posti dove hanno fatto più danni, come a El Reno, che vene duramente colpita nel 2013. Anche se la sceneggiatura del nuovo “Twisters” e anche i suoi personaggi sono un’altra cosa rispetto alle invenzioni di Crichton, che venne pagato 2 milioni di dollari trent’anni fa per il soggetto, moltissime sono le citazioni del vecchio film e le ispirazioni.

     

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    A cavalcare il tornado viene richiamata una ragazza del posto, nata a Sulpaso, la Kate di Daisy Edgar-Jones e il personaggio dello scienziato da youtube interpretato dall’emergente Glen Powell non è tanto dissimile dal giornalista televisivo del vecchio film. Ma il cast è accurato costruito attorno a ragazzi dell’ultimissima generazione e secondo le leggi di inclusione che trent’anni fa ancora un’utopia. Così accanto ai due ragazzi ultrabianchi abbiamo l’Anthony Ramos ballerino di “In the Eights” e “Hamilton”, il Brandon Perea di “Nope”, la favolosa Sasha Lane di “American Honey”.

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     Questo lo rende un film assolutamente più giovanile del previsto, e anche i “vecchi”, la mamma di Kate, Maura Tierney, e il giornalista inglese, Ben, sono star delle ultime serie, “The Affair” e “The Crown”. E la fotografia di Dan Milner in 35 mm delle Oklahoma Hills rende le grandi scene di tornado, penso a quella iniziale, un vero spettacolone. Non a caso il film è comunque lo si guardi un giocattolone costoso, 200 milioni di dollari, che non sono affatto pochi.

     

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    Detto questo, e detto che la coppia di protagonisti funziona perfettamente anche nella commedia stuzzicarella tra lui, cafone in realtà più sofisticato di quel che si potrebbe pensare, e lei, meno sofisticata e più cafona di quel che sembra, e non ci fa rimpiangere i problemi di divorzio e di figli della coppia del film precedente, trovo il film un filo noioso, ripetitivo, rispetto proprio al primo “Twister”, che giocava sulla novità del genere. Anche se ammetto che il finalone al cinema di El Reno, dove si trasmette il vecchio “Frankenstein” di James Whale è notevole. Ma non credo che un regista minimalista come Lee Isaac Chung sia proprio la scelta piiù giusta per un film del genere. Detto questo il film si vede più che volentieri. In sala.

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