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    IL CINEMA DEI GIUSTI - "SANTOCIELO" È UNA STRAMPALATA MA SENSIBILE COMMEDIA SICUL-NATALIZIA SUL PATRIARCATO MASSIMO, CHE IN CIELO È DIO E CHE SULLA TERRA È IL MASCHIO SICILIANO, E UN ANGELO CHE LO METTE SBADATAMENTE INCINTO CON UNA SORTA DI IMMACOLATA CONCEZIONE - PUÒ NON PIACERE, PUÒ NON ESSERE CAPITO, PUÒ DELUDERE I FAN DI FICARRA E PICONE, MA CERTO SI MUOVE VERSO UNA DIREZIONE INNOVATIVA CHE I DUE COMICI DA ANNI HANNO INTRAPRESO… - VIDEO


     
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     Marco Giusti per Dagospia

     

    ficarra e picone in santocielo 2 ficarra e picone in santocielo 2

    Vi dirò. Il momento più trasgressivo di questa strampalata ma sensibile folle commedia sicul-natalizia di Ficarra e Picone, “Santocielo”, diretta dal bravo Francesco Amato (“Lasciati andare”, “18 regali”) sul patriarcato massimo, che in cielo è Dio, qui interpretato da un divertente Giovanni Storti, e sulla terra è ovviamente il maschio siciliano, Ficarra, e sull’angelo, Picone in versione bionda, che lo mette sbadatamente incinto con una sorta di Immacolata Concezione, è il grande recupero di “Marcello pane e vino” in versione musicale.

     

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    Tormento dell’infanzia di molti, il film spagnolo del 1955, supercattolico, imposte dalle sacrestie, dai cottolenghi, con visione collettiva. A ripensarci un film horror, con il povero Marcellino di Pablito Calvo, che parla con Gesù Cristo in croce grondante sangue e gli chiede un miracolo e alla fine morirà pure, ma salvato, almeno nel nostro ricordo da ragazzini dalla canzoncina che cantavano i Cetra (“ricordate Marcellino, solo pane e solo vino, un bellissimo bambino…).

     

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    Per questa commedia dove gli uomini chiedono continuamente miracoli a un Dio distratto, che preferirebbe affogarli tutti con un bel diluvio, ma soprattutto dove i cinque sceneggiatori (tutti maschi, troppi) puntano decisamente, come rinascita dell’umanità con tanto di nuovo Messia, alla femminilizzazione del maschio (siciliano), solo rendendolo incinto, e quindi madre, la rilettura della storia di Marcellino, la sua messa in scena nella scuola cattolica dove è vicepreside Picone, con i bambini che fanno i frati e Gesù Cristo in croce e tutti cantano la canzoncina, diventa qualcosa di antiquato ma fascinoso che non mi sarei proprio aspettato. Ma fondamentale.

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    Perché in Marcellino, film uscito dopo la Seconda Guerra Mondiale e dopo la Guerra Civile spagnola, il miracolo, la sopravvivenza dell’umanità è una cosa totalmente di maschi cattolici, frati-bambini-un Gesù che prende vita sulla croce. Con l’inserimento di personaggi come la giovane suora, Maria Chiara Giannetta, innamorata dell’angelo Aristide di Vantino Ficarra, e la moglie non più innamorata del marito, Barbara Ronchi,  ma non di Picone, l’Immacolata Concezione del Maschio assume un altro aspetto.

     

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    Perché Picone, l’insopportabile vicepreside Nicola, galantuomo d’altri tempi (“Ma ti mi hai sposato oggi”, le dice la moglie, alludendo a tempi che sono cambiati), perde con la gravidanza tutti i suoi aspetti da maschio opprimente che lo caratterizzavano. 

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     E’ pronto a accettare un mondo che non è più rappresentazione al maschile di tutta l’umanità (vedi Marcellino) e dove i miracoli da chiedere sono semplici desideri di madre (posso dormire tre ore, anche due). Film assolutamente curioso, che non assomiglia a niente e a nessuno, può non piacere, può non essere capito, può deludere i fan di Ficarra e Picone, ma certo si muove verso una direzione innovativa che i due comici da anni hanno intrapreso.

     

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    Attori strepitosi, non solo le due ragazze, Barbara Ronchi e Maria Chiara Giannetta, ma anche il Dio di Giovanni Storti, il buffo angelo di Carlo De Ruggieri, e tutti i siciliani favolosi che vediamo nel film, a cominciare da Mimmo Mignemi che fa il sindaco di un paesino che è pronto a ospitare il quartetto in fuga che copre il maschio incinto. Come nei loro precedenti film e come nei film di Checco Zalone, la vecchia commedia e il cinema comico popolare servono per raccontare un paese che sta cambiando e, soprattutto, vuole cambiare. Per non morire di noia e di banalità. In sala.

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