Se son rose di Leonardo Pieraccioni
Marco Giusti per “Dagospia”
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Ricordate quando i film di Leonardo Pieraccioni sembravano tutti uguali, con lui che si innamorava, di volta in volta, della bella di turno? Ecco, ora, al suo tredicesmo film, Se son rose, scritto assieme a Filippo Bologna (Cosa fai a Capodanno?), Pieraccioni, arrivato a cinquant’anni, raduna un bel gruppo di ex al ritmo di un messaggino-scherzo che scrive a nome suo la figlia, “Sono cambiato. Riproviamoci…”. E quelle, guarda un po’?, ci cascano, offrendo ai due sceneggiatori l’idea di una serie di sketch con attrici diverse che affrontano il Pieraccioni maturo e cambiato. In qualche modo, lo stesso messaggino, Pieraccioni sembra mandarlo ai suoi spettatori per invogliarli a vedere il suo film.
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Ma sono veramente cambiati, Pieraccioni e il suo cinema? Non mi sembra. E questo, da una parte, è anche un bene, perché ritrovarci a Natale con un suo film costruito su vecchi modelli di comicità, a noi spettatori più vecchiotti, fa anche molto piacere. Come l’uso di facce e faccette note e ignote del cinema toscano. Il prete di Sergio Pierattini, il grande Paci un ruolo proprio minimo (ma a febbraio uscirà un film tutto suo di barzellette), una misteriosa ragazza che interpreta una mignotta fiorentina balbuziente che fa morir dal ridere.
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Fanno ridere anche new entries nel suo cinema, come la vicina napoletana di Nunzia Schiano, un cammeo uncredited di Vincenzo Salemme come malato su sedia a rotelle che Caterina Murino potrebbe curare con la masturbazione terapeutica, Gianluca Guidi come buffo marito della sua ex compagna Claudia Pandolfi. Magari ci colpisce meno proprio il cuore dell’operazione, cioè le reunion con le ex più o meno attraenti che incontra nel corso del film, da una Gabriella Pession scatenata e organizzatissima come madre di due gemelli antipatici e misteriosi, alla suora laica Murino, da Michela Andreozzi come malata di Alzheimer (ma lo sarà davvero?) a Antonia Truppo nel ruolo di una toscana che non solo è diventata lesbica, ma che stava proprio per fare il cambio di sesso quando ha ricevuto il messaggino di Pieraccioni.
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Mettiamoci anche la fidanzata attuale, Elena Cucci, Ginoria, che lui chiama 48 perché ha solo 48 neuroni nel cervello. Cosa dire? Pieraccioni si concede battute e situazioni che, lo dico da toscano, forse non piaceranno a tutte le donne in sala, che rischiano un po’ il politicamente scorretto. Cosa che, alla fine, è anche un bene, perché il film non ha i limiti che vediamo in tante commedie attuali, ma forse possono urtare qualcuno.
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Vero è che lui stesso si prende in giro, visto che queste donne non lo tratteranno poi benissimo e gli risponderanno a tono. Per il resto, ripeto, il meglio sta nelle battute e battutine collaterali (il telefonino che trascrive male i nomi, al punta che “la budella de tu ma’” diventa un misterioso signore sconosciuto…), nei personaggini, anche se Elena Cucci e Gabriella Pession su tutte sono deliziose e Nunzia Schiano è come sempre perfetta. Bella anche l’ambientazione toscana, non se ne poteva più della Puglia. E la mignotta balbuziente fiorentina è davvero una trovata. Non si dice mignotta, però. In sala dal 29 novembre.
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